giovedì 29 ottobre 2009

Donne che sanno dire no


Se un uomo un giorno si salverà dal guaio nel quale si è cacciato, ancora una volta dovra dire grazie a una donna, sua moglie.
Solo le donne, solo le mogli, sanno aiutare nel momento della disgrazia quell’affare che si ritrovano accanto dal giorno del matrimonio con i consigli propri di un curatore fallimentare. Dove la trovano la forza di fare tutto questo non si sa, alle donne basta una notte fuori per riparare, almeno per un momento, l’orgoglio ferito. Gli basta una notte fuori per far capire in che buio si può precipitare senza di loro. Gli basta una notte fuori per inventarsi una exit strategy che salvi il salvabile. E con un colpo di spazzola ai capelli riescono a mettere su una faccia per andare a lavorare. Dove, con l’umiltà di chi è grande veramente, diranno che “non siamo più brave e intelligenti, ma siccome abbiamo molte cose da fare sappiamo organizzarci meglio con il tempo”. Quel tempo che invece, addirittura in orario di lavoro, veniva dedicato ad altro. Solo le donne, solo le mogli, in una notte fuori riescono a trovare quell’amore, di una madre per sempre, che riesce a mettere una mano su una spalla dell’uomo che dovrebbe “proteggerle” e che invece ha sbagliato lasciandole con la porta aperta.
In una notte fuori riescono a capire che ci sarà il tempo per la disperazione lecita, per il rimprovero di diritto, per l’eventuale e mai scontato perdono, ma che adesso è il tempo dell’emergenza, ora piove e bisogna cercare un riparo, quando smetterà ci penseremo. È un ruolo che non gli compete ma lo accettano e lo svolgono. Perché queste donne sanno dire sì a chi ha bisogno di loro e sanno dire no quando è l’unica risposta da dare a “qualche” domanda indiscreta. Lei, questa donna, ha risposto con un semplice, inequivocabile “no”.
Quel “no” secco che è mancato a un uomo. Suo marito.

martedì 27 ottobre 2009

Come si fanno i regali


Ancora sbagliate i regali? Appartenete a quel genere di persona che si giustifica della stupidaggine che ha osato regalare dicendo “È solo un pensierino...”? Non avete mai imbroccato un regalo e non ve ne rendete conto nemmeno quando lo vedete riciclato in 4 case di amici in un anno? Allora prendete appunti.
Ragioniamo insieme: dopo i 40, tutto sommato non ci serve più niente, e nell’era del consumismo, non aspetto certo il mio compleanno sperando che qualcuno mi regali l’ultimo di Bublé, perché non appena lo annuncia lui “forse faccio un album l’anno prossimo...” io l’ho già comprato. Quindi alla larga dalle presunte novità. Così come dalle “cose per la casa”: nella casa non c’entra più niente, qualsiasi cosa vi viene in mente, dallo sbuccia-aglio al vaso per i fiori, andrà tutto in parrocchia.
I pullover? Ma per carità, si sbaglia colore, taglia, lui lo andrà a cambiare il giorno... Bisogna regalare materiale di consumo, niente che rimanga. Mi spiego: avete mai provato a regalare 10 chilogrammi di paccheri di Gragnano? Tutti urleranno di gioia! I pelati “Miracolo di San Gennaro”? (esistono davvero), sono contingentati, rarissimi, vengono colti SOLO 2 volte l’anno, mangiati quelli non esistono più, quindi la regola è QUANTITA’ applicata all’idea del materiale di consumo in questione: al commercialista, invece della Montblanc (che lui riceve in regalo ogni Natale) gli fate la penna BIC, quella che costava 150 lire, ma gliene fate 100! Oppure 10 litri d’inchiostro di ricambio. La quantità vince. Avete un amico “tecnologico”? Dovete regalargli le batterie: 100 di tutti i formati, quindi stilo e ministilo, si commuoverà, perché ovviamente ha tutti i telecomandi senza e fa la giostra con le uniche due cariche in casa, quelle del telecomando del plasma.
Altro regalo a consumo: 100 capsule di caffè “Nespresso, what else?”:
- Non ho la macchina...
- Te la compri, non sai quanto è buono!
Altra regola infatti è quella di difendere la scelta fatta:
- Ecco un libro per te...
- Ma è “Il vecchio e il mare”, l’ho letto da piccolo...
- E mo’ te lo rileggi: auguri! - e ve andate subito in salotto, lo regalerà al figlio, che ci frega?
Anche perché un’ulteriore regola è quella di non dover mai presenziare alla teatrale apertura dei regali davanti a tutti: non appena il festeggiando apre la porta, il regalo glielo si butta in faccia imponendogli di aprirlo a quattrocchi, si eviterà il commento degli altri che fanno il conteggio di quanto avete speso rispetto a loro.
Se queste idee non vi piacciono, rimane una cosa da fare: non fate i regali. Offrite cene.
E invitatemi.

lunedì 26 ottobre 2009

Buon compleanno!


Per i miei 18 anni ho sbagliato tutto: ho portato la ragazza che mi piaceva da sempre e alla quale non sarei piaciuto mai, alla cena più assurda che possa capitare: da George’s, il ristorante del Cordon Bleu, età media 90 (abbassata da noi due). Lei non poteva rifiutare e mi ha accompagnato suo malgrado per farmi il regalo di dirmi “sì” almeno a una cena insieme. Tutto in taxi, ovviamente: andarla a prendere da casa mia, andare al ristorante, andare al cinema, riaccompagnarla a casa, e ritornare a casa mia. Io mi ero imparato a memoria tutto il menù, che era in francese, per tradurre i tortiglioni, i girelli, i gateau, tutti i vini giusti da abbinare qualsiasi cosa lei avesse scelto e mi ero preparato le frasi da dire al maitre e al sommelier : “Va bene un chianti, scelga pure di chi, mi fido della sua esperienza!”.
Ma come sempre accade quando le aspettative sono esasperate, la conversazione languiva e la serata non decollava: grissini spezzati nervosamente, sguardi alle appliques, argomenti zero, il pianista che suona tanti auguri al secondo piatto, un’anatra alla qualunque, e non al dolce, tutti gli altri commensali che ci guardavano, le vecchie ammirandola, i vecchi commiserandomi, una tragedia... per fortuna rimaneva la seconda parte della serata: il film al cinema! Quale? Vogliamo fare “Urban Cowboy” che preferivo io (essendo un film da “amanti”), oppure sbagliamo e si va a vedere “Fame” che voleva vedere lei (essendo un film da “amici”)? Sbagliamo, dài, che ci frega? Tanto è solo il mio 18° compleanno, mica una serate come le altre.... E così di corsa all’Ariston, nella folla assurda del sabato sera, io in giacca e cravatta a disagio in mezzo a un mare di jeans, un vecchio di 18 anni compiuti da un’ora in mezzo a giovani che volevano riconoscersi in quelli di “Saranno Famosi”. Arriviamo alle 22.35, film cominciato, penultima fila, davanti a me una con i capelli di Moira Orfei, alla mia destra, un braccio inerte, insensibile a tutto, quello della mia dama. Non chiedetemi cosa penso di “Fame”, il mio ricordo è buio (non ho visto niente) e freddo come il pezzo di ghiaccio che avevo accanto.
Della serata in cui si diventa maggiorenni, rimane quindi un bacio sulla porta di casa sua e una frase:
- Riccardo, mi hai fatto passare la più bella serata della mia vita!
- A me lo dici?
E andando via mentre conteggiavo le 23000 lire che avevo speso di taxi, (la cena era il regalo dei miei), pensavo che se una ragazza non mi vuole dopo una serata così, qualcosa vorrà di’... No?
Oggi ho imparato e non sbaglio più, tutti da McDonald e un dopo un DVD, “Il Vedovo”, con Alberto Sordi!
Tanti auguri...

giovedì 22 ottobre 2009

Io vedo!


La progressiva perdita della vista è una delle prime cose che “impariamo” da grandi, come fossimo ancora piccoli. Nel senso della nuova e, in questo caso, spiacevole sensazione. Guarda caso una bella mattina al bar leggendo il giornale ci sembra che ci sia meno luce, che succede?
- Claudio, ma che hai abbassato la luce?
- No, perché?
- Boh, mi sembrava...
Una sera, guardando le istruzioni di un surgelato, non vediamo bene la piccola data di scadenza, e istintivamente allunghiamo le braccia per mettere a fuoco. Mamma mia, siamo VECCHI! Tocca andare dall’oculista.
All’inizio con quel cartello assurdo che abbiamo visto per l’ultima volta alla scuola guida quando avevamo 18 anni, ci sembra di vedere tutto benissimo, anche l’ultima riga, quella grande un micron:
- Ma allora ci vedo, sto benissimo!
- Aspetti un attimo... si copra l’occhio destro.
Prendiamo la nostra pashmina, l’appoggiamo delicatamente per non urtare minimamente il nostro faro destro, e immediatamente una guazza indefinibile d’inchiostro prende il posto di quella serie di stupidi caratteri e proviamo ad andare a memoria, per autofregarci:
- M, N, Z, Q, parentesi quadra, una mosca, una clessidra, R. Giusto?
- Stia calmo... adesso?
- Non vedo, non vedo, che succede? Muoio!
- Stia tranquillo, le ho messo io una mano davanti l’occhio sinistro, si tolga la sciarpa dal destro e mi dica che vede alla terzultima riga...
- C, H, no M, mi scusi tanto, C, M, F, L. Giusto?
L’oculista ride, non parla e ti mette addosso l’occhiale più brutto che abbiamo mai visto in vita nostra (manco Mughini ce la farebbe a inforcarlo!)
Di colpo LA LUCE, un plasma 60 pollici, l’arcobaleno della vita, lo spettro solare, vediamo tutto, anche oltre il muro, leggiamo al contrario, in diagonale, urlando dall’entusiasmo! È fatta! Ma poi la sentenza:
- Tutto a posto: lei è solo presbite...
La mente ci va alla marca Presbitero delle matite di scuola, con quel matto che ce le aveva tutte in testa e non capiamo cosa vuol dire:
- Con l’età tutti diventiamo presbiti, quindi stia tranquillo, si compri un bel paio di occhiali - mentre lo dice mette i suoi e scrive la ricetta, non ci vede manco lui che è oculista - e li usi quando è stanco, arrivederci.
Insomma, con quella ricetta andiamo dall’ottico e ci compriamo un bel paio di Persol e da quel momento in poi malediremo tutti quelli che fanno le scritte piccole, dai foglietti delle medicine, alle istruzioni per il decoder del digitale terrestre, dai libretti del cd (ma non erano meglio i dischi?, era tutto scritto grosso) al tempo di cottura della pasta.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere: come ci ricorda la cara Michelle Pfeiffer infatti “il vantaggio di cominciare a non vederci bene è che quando ti guardi allo specchio, come per incanto le rughe scompaiono!”

PS: qui potete fare il test

mercoledì 21 ottobre 2009

Il sorpasso degli sms


Tempo fa una quindicenne è cascata in un tombino a New York mentre scriveva un sms, non si è fatta niente, pensa se ci cascava una vecchia, però se avesse fatto una telefonata magari nemmeno cadeva, no? Fatto sta che in USA ora gli sms inviati sono superiori alle telefonate. Io non li amo essenzialmente perché i tasti del mio Nokia 6300 non sopportano più la grandezza dei miei polpastrelli, e al terzo errore mio sommato a quelli pazzi del T9, cancello tutto e chiamo direttamente.
Questo blog sa bene che gli sms servono solo per fare pace dopo una litigata con la gattina del periodo, in virtù del nostro amico Cicerone (la lettera non arrossisce), o per prendere un appuntamento di lavoro con una persona che ancora non conosciamo bene, e se penso ai soldi buttati solo per scrivere “ok” in risposta ai vari appuntamenti, divento pazzo...
Quante volte su tutti i magazine che escono in allegato con i quotidiani ci sono periodicamente i consigli sul galateo del telefonino, quando l’unica cosa da sapere è questa: non appena il vostro interlocutore comincia a maneggiarlo, vuol dire che si è già rotto di stare con voi. Non avete notato che durante le cene per la prima ora e mezza tutti mangiano bevono ridono e scherzano, ma quando si passa in salotto a finire la serata cala il mutismo? Si sono accesi i cellulari, o meglio gli si è tolta la vibrazione, per vedere chi ci ha scritto, chi ci proponeva qualcosa di meglio ma all’ultimo minuto? Gli sguardi ebbri del vino della cena cadono sui telefonini e nessuno sa più cosa dirsi... Che tristezza: ma non ci eravamo visti per fare due chiacchiere? Che mi frega di chi ti ha scritto? Spegni quel cellulare e parla con me! Oppure te ne vai in bagno come Fabrizio Bentivoglio per rispondere a Monica Bellucci ne “Ricordati di me”. Ma siccome la Bellucci non te lo manda un sms è inutile che lo accendi. Sono esentate le madri apprensive con i figli rimasti a casa da soli con la tata, e anche in quel caso potrebbero attivare l’esclusione delle chiamate entranti eccetto quella da casa (senza contare che i loro figli stanno chini su messenger mentre la tata manda gli sms con previsioni di rientro dei genitori in questione).
Ma tanto, se addirittura a Catherine Deneuve squillò il cellulare in chiesa a Parigi durante il funerale del suo Marcello Mastroianni, che vogliamo fa’?

martedì 20 ottobre 2009

O me o la musica!



Un ragazzo suona benissimo la tromba insieme alla sua band a una festa di matrimonio, di colpo irrompe la sposa, i due si riconoscono, stavano insieme tempo fa... oggi lui suona alla sua festa, un po’ meno festa: immaginiamoci lei che va dal fresco maritino a chiedere “chi diavolo ha chiamato QUELLA band?”.
Questo spot, vecchio e meraviglioso, deve andare in onda tutti i giorni su tutte le reti prima dei tg di qualsiasi ora. Serve da monito a tutte, e direi anche a tutti...
Quello che mi fa impazzire, è che lei rosica da morire, in un attimo capisce tutto: è lei che ha sbagliato a lasciarlo con quel diktat “o me o la musica” e si è appena sposata un imbecille che non verrà mai ammirato da nessuno, si è sposata uno che magari le farà fare due settimane a Cortina d’inverno, e un mese in Turchia sul caicco d’estate, contenta? E poi niente, il vuoto pneumatico. Invece lei ora guarda quello che avrebbe potuto essere il suo ragazzo (lui non l’avrebbe mai sposata “non ce ne è bisogno per due come noi”), un uomo libero che si guadagna il pane suonando, ogni giorno diverso dall’altro, che può tornare a casa o meglio rimanerci parecchio e prepararti la cena magari con una notizia pazzesca di lavoro da darti appena entri o magari un po’ triste sul sofa, la tromba sul tappeto. Con lui la tua vita sarebbe stata forse molto meno comoda ma non avresti avuto quella faccia non solo al tuo matrimonio ma tutta la vita. Forse ora hai una creditcard illimitata, quella di tuo marito, ma francamente non vedo che puoi farci di VERO. Pensaci meglio... dopo il divorzio, tra tre anni.
Lui invece è felice, perché ha capito in un attimo da quale guaio si è tolto, ha visto che futuro avrebbe avuto con quella al fianco, e ci suona sopra! Oltre al fatto che proprio a quel matrimonio, facendo la fila per andare in bagno, troverà la donna della sua vita!

PS: amici della Mastercard, rimettetela in onda, tutte le altre che avete provato a rifare sulla falsariga non reggono al confronto... e voi lo sapete benissimo.

lunedì 19 ottobre 2009

Macchina del tempo


Prendete coraggio, meglio un sabato mattina senza fretta, fuori un po’ di freddo, non molto. Il caffè è pronto, adesso massima attenzione, accendete il tostapane, ci mettete una fetta qualunque di pane, anche quello in cassetta, quello che avete, quando è tostato, mentre vi scottate per appoggiarlo su un piatto prendete il BURRO, lo spalmate, prendete la MARMELLATA, la spalmate, con il pollice e l’indice della mano destra inzuppate e portate alla bocca: E SI PIANGE!
Provatelo: è l’unica vera macchina del tempo che esista, pane burro e marmellata, e vi dico anche come mai: è il burro che si scioglie sul pane tostato. Ormai la dieta non prevede l’utilizzo del burro visibile, quello che dovremmo avere a casa ma non abbiamo il coraggio, uno su tutto LURPAK, che già il nome, ma che comunque al ristorante ci mettono in ogni piatto a nostra insaputa: “ma come fanno a farlo così buono?” c’è il burro, ve lo dico io, ché l’ho visto fare. Quando invece si ha coraggio e lo si spalma in essenza sul pane e lo si vede sciogliere lentamente, già ci si forma la bavetta, il mix con la marmellata è storia, il contatto con il caffè caldo e i piccoli cerchi del burro sciolto nel laghetto scuro del caffè sono strazianti!
Se poi si ha l’accortezza di preparare per l’occasione un caffè con la macchinetta, Bialetti, non quelle finte, nel momento in cui echeggerà nella cucina vuota il gorgoglìo dell’uscita, vi troverete senza volerlo con quella vestaglia a scacchettoni, la luce di taglio che entrava dalle veneziane delle case del centro senza persiane, il freddo della cucina la mattina alle sette e mezzo, Nonna che aveva già fatto colazione all’alba e tu con quel panino che aveva il solo compito di nutrirti e non quello di alzare sensi di colpa da combattere alla pesa da Migliaccio, mentre guardavi il tuo futuro nella tazza del caffellatte, ovviamente senza saperlo. Ogni mattina cominciava con l’odore dell’erba appena tagliata dentro di noi anche in città...
Oggi possiamo morire di trigliceridi ma non siamo mai stati così vivi con una fetta pane burro e marmellata.

venerdì 16 ottobre 2009

Guarda che luna! Andove?


Rubo l’argomento all’amico disbanded e commento la photo (quelle di Annie hanno tutte il ph davanti) di Annie Leibowitz su quei tre che guardano il cielo e non vedono la luna su un vecchio carro sporco, sul cophano non vista da molti la Vuitton, aperta come si deve (come si usa a Roma, e poi le phinte bionde si lamentano se gli rubano il cellulare e il borsellino...).
Allora è ovvio che l’errore “perché non guardano la luna?” è dell’inetto assistente della Leibowitz che non ha adoperato bene PhotoShop. Ma la colpa è alla phine della Leibowitz, che invece di tenerlo a studio per le sigarette gli permette pure di ritoccare la photo. Come sapete Annie non ha più una lira e tutti i soldi li ha sperperati phollemente per allestire i set pharaonici delle sue photo, ovvio che si sia tenuta accanto un dephiciente come questo, è solo un altro dei stupidi errori.
Ma per il grande apphetto che nutro per la vecchia maga dell’obbiettivo
vorrei considerare altri motivi per cui in realtà la luna è là.
I tre, Sally Ride, prima donna dello spazio, Buzz Aldrin, secondo uomo sulla luna, e Jim Lovell, comandante della missione Apollo XII guardano il cielo e non la luna, (“Che ci phrega? In un modo o nell’altro ci siamo STATI!”).
Oppure guardano l’atterraggio di uno Shuttle (“Dite che gliela pha’?” “Non credo, co’ sta luna...)
Oppure hanno phinito il carburante, del resto a quel camion è un po’ che nessuno ci si avvicina, e in attesa della saphety car si guardano il tramonto.
Oppure non si sono accorti della luna. E nemmeno della Vuitton che è aperta e dalla quale sbuca un binocolo (per vedere la luna? Non credo...)
Ma come la metti la metti, alla Vuitton sono phelici che tutto il mondo si stia chiedendo come mai la luna è lì e non i loro sguardi, e quindi Annie Leibowitz ha phatto un’altra grandissima photo.

PS: qui vedete tutta la campagna e suoi assurdi costi. E siccome la photo è straziante qui scaricate il wallpaper

giovedì 15 ottobre 2009

Signore e Signori, tanti auguri!


Oggi compie gli anni Mariolina Cannuli, da sempre considerata la più sexy delle annunciatrici della Rai Tv. La Rai. Quella Rai. Che aveva a casa sua ospiti della classe della Signora Cannuli. Che in un annuncio secco, senza sbrodolamenti e con sorrisi fermi e asciutti, diceva tutto e ci rassicurava perché molti di quegli annunci erano IN DIRETTA. Quindi voleva dire che alla Rai c’era qualcuno che controllava. Erano loro, sedute su una sediolina a fare l’uncinetto tra un programma e l’altro a controllare che tutto funzionasse: se magari s’interrompeva un programma, loro correvano in regia ad avvertire e si precipitavano a dirci “adesso ricomincia, tranquilli!” Insomma come Nonna quando eravamo malati a letto e ci leggeva una favola.
M’immagino una giornata tipo di Mariolina come di tutte le altre, la mattina a Via Teulada dal parrucchiere mentre ripassavano i programmi da annunciare (mica avevano il gobbo elettronico e le occhiate al foglio che tenevano in mano erano fugaci come quelle nostre al foglietto che ci passavano durante il compito in classe), un po’ di trucco commentando i programmi della sera prima, un vestito e via davanti la telecamera ad aspettare il turno. La sera tornando a casa potevano guardarsi un po’ di televisione e vedere in bianco e nero la collega che era arrivata e che le aveva dato il “cambio”. Per tutta una vita per strada si sono sentite chiedere:
- Stasera che fanno in televisione?
E loro senza una piega glielo dicevano con quella dizione perfetta e cristallina senza sbavature e ovviamente con un sorriso.
Cara Mariolina, stasera spegni le tue candeline tranquilla: non c’è niente da vedere, tantomeno da annunciare. Tanti auguri!

mercoledì 14 ottobre 2009

Giro di boa


Stamattina si sveglia alle 0730 come sempre, una passeggiata per le vie del centro a cercare se stesso nelle viuzze che conducono ai templi, poi un caffè da Canova col barista juventino ma che serve il cappuccino freddo più buono di Roma. E su un tavolino legge un paio di quotidiani, fa un po’ di spesa, va a prendere la figlia a scuola e pranza con lei.
Il pomeriggio va alle prove, parla, ride, commenta, con i suoi compagni di lavoro. Verso sera torna a casa. Ma una cena lo attende al Bolognese con la moglie e la figlia. Perché quest’uomo oggi gira una boa, quella che non ti permette di tornare indietro perché è la boa più spaventosa della nostra vita, quella del bilancio a consuntivo: che ho fatto, che farò, o meglio che potrò fare? E allora vuole guardare negli occhi la sua famiglia per tirare una somma. Ci sono altre boe in questa regata pazza che stiamo facendo senza motivo, e ognuna di queste si muove come fosse legata a un elastico, a seconda dell’umore che abbiamo le vediamo vicine come una foto macro o lontane come un miraggio. In realtà queste ultime sono quelle più vicino e sono quelle dobbiamo affrontare meglio, le altre anche se le sentiamo ancora vicine, in realtà le abbiamo perse PER SEMPRE. Tanto vale affrontare quelle che ci guardano ancora con un’aria di sfida che dobbiamo raccogliere, l’occhio deve puntarle come una freccia, col trucco che inconsapevolmente abbiamo utilizzato per le altre: l’indifferenza. Solo così potremo arrivare con scioltezza a quelle strambate che ci attendono con un colpo di reni e un sorriso sarcastico. Si, voglio stare al winch come un pazzo che agita quei bicipiti, perché NON VOGLIO FARE ALTRO che girare come due mulinelli quelle braccia, perché io voglio andare avanti, per cazzare o mollare la randa della mia vita! E anzi, adesso alzo anche lo spinnaker!
Stasera giro di boa? Ah ah ah, no... CHAMPAGNE!

sabato 10 ottobre 2009

Vendesi a New York City


Nella città di New York, al 222 della 61esima all’incrocio con la 3a avenue
c’è una casa in vendita. Bella, direi, a giudicare da questa foto.
Chissà quanto costa, perché chi la prende non può fare un mestiere qualsiasi. Alla mia amica Maria, NYC resident, è capitato, in quanto tale, di avere ieri sera un date per un altro appartamento, proprio lì, e alla frase dell’agente immobiliare, che indica quella casa come di una scrittrice italiana, con l’italiano stentato:
- Did you know Or... ienna Flàcci?
- Eh? Oriana Fallaci, vorrai di’!
si è catapultata dentro supplicando una visita all’appartamento.
Ma come è possibile che una casa appartenuta a un mito adesso vada in mano a non si sa chi? Non si potrebbe chiedere un certificato di idoneità per abitare case importanti? Magari ci va un rapper miliardario e in quella libreria che ha visto la qualunque ci mette i cd dei suoi colleghi o gli hard disk delle sue prove in studio (pensa che capolavori!), e sopra il caminetto il cartonato della sua sagoma altezza reale, in previsione del lancio del suo nuovo cd. NO! Voglio parlare quindi con il futuro resident. Sia chiaro che lì dentro si fumano solo sigarilli Nat Sherman, si trovano in un solo tabaccaio, a downtown credo, è inutile che fumiate altro, le pareti assorbono solo quel fumo, si lascia tutto come si trova e basta! Sappiate anche che lì dentro si è cucinato benissimo e si sono passate serate memorabili. Rimanete all’altezza quando fate gli inviti, please. Sappiate che durante la notte vi capiterà di sentire in lontananza l’inconfondibile ticchettio di un’Olivetti lettera 32. Avrete quindi a che fare con il fantasma dell’Oriana, e la sera, prima di andare a dormire fatele la cortesia di farle trovare una stecca di quelli di cui sopra.
In quella casa era difficilissimo entrare e facilissimo uscire. Per sempre. Chiunque riesca mai a comprarla se lo ricordi.
Ma forse non succederà.
Niente. E così sia.

giovedì 8 ottobre 2009

Papà, senti quanto sono bravo!



Ditemi se di questo pezzo fantastico dei" Was (not Was)" cantato dal figlio omonimo di Frank Sinatra (pensate ai problemi in gioventù), il padre non avrebbe dovuto essere orgoglioso del figlio. Ma forse lo è stato talmente tanto da rosicare e da non fargli nemmeno un complimento. Anyway siamo al David Letterman Show, in una serata del 1993.

martedì 6 ottobre 2009

Può capitare una mattina


Può capitare una mattina che, alzati storti per motivi che rifiutiamo di conoscere (troppe vodke, troppo tardi, troppo fumo, troppi pensieri, troppo e basta), ci aspettiamo lo svolgimento ugualmente storto della giornata in questione. E invece ci rendiamo conto che MIRACOLOSAMENTE tutte le piccole cose quotidiane vanno DA SOLE.
Dal giornalaio arriva la copia di Repubblica in automatico senza aspettare la vecchia che deve capire se prendere l’allegato di Tutto Uncinetto. Al nostro bar c’è folla, nemmeno salutiamo e ci avviciniamo al bancone, nemmeno ordiniamo e arriva il caffè, il solito, come lo vogliamo noi, nemmeno pensiamo di desiderare un cornetto che una voce dice:
- Chè vuoi un cornetto?
ed è già in mano caldo fragrante, quello che ci piace di più. A nuoto non c’è nessuno che fa dorso accanto a te in corsia e quindi non ti sbatte il braccio in faccia a ogni passaggio. In ufficio ti apre la porta la ragazza che ti è sempre piaciuta e per una volta ti chiama per nome.
Ecco, questa giornata che è cominciata storta ma che, per miracolo da sola sta andando bene, dobbiamo aiutarla a finire meglio e quindi prima di pranzo già prenoto il ristorante per la gattina, magari la stessa che ci ha aperto la porta in ufficio, con questa battuta per esempio:
- Visto che stamattina mi hai aperto la porta, vorrei anche che me la chiudessi in faccia stasera dopo che ti ho portata a cena, ok?
Se ride, è fatta! Adesso, massima attenzione, mi predispongo a far andare tutto bene io, non posso sbagliare niente e niente può mettersi di traverso, al ristorante esigo il tavolo più intimo ma più vicino alla cucina per l’ansia di mangiare, mi vesto meglio e mi metto pure un completo tiè, blu ovviamente, la scarpa? Coi lacci, ok! La barba perfetta manco a dirlo, la camicia brooks, colletto slacciato as usual...
E quando dopo la cena splendida passata a chiacchierare di tutto lei dirà:
- Ti dispiace se mi fumo una sigaretta?
- No, figurati, anzi ti accompagno... (anche se non fumo!)
Perché io sento che la cosa più bella del mondo è accendere una sigaretta alla donna che ti piace. C’è un’intimità in quelle 4 mani che si avvicinano per quel gesto inconsulto che nemmeno tra le lenzuola di pelle d’uovo, in quel nido cova una promessa che nemmeno sull’altare. E quella lucina del Dupont che per un attimo illumina quel volto teso, quelle labbra che stringono, quelle narici che aspirano, è una sciabolata che in un lampo mi fa vedere il mio futuro. Era una giornataccia? Ma per carità!
Buona serata, se è cominciata storta!

lunedì 5 ottobre 2009

Brad Pitt mi dà ragione


Non è la prima volta che mi si copia, certo, ma alla notizia che Brad Pitt si è finalmente costruito la sua “caverna” dove mettere tutte le cosette che ha accumulato nella vita da single, cosa devo pensare? Sono anni che dico che la casa ideale, sede di una convivenza, è quella che prevede spazi separati. Lui l’ha fatta addirittura in giardino, una casetta, e ci ha messo oltre a svariati plasma (per vedere cosa vorrei sapere) anche le moto, un jukebox e altra paccottiglia pur di stare fuori dalle grinfie della Jolie e ritrovare se stesso in compagnia di pochi selezionatissimi amici, uno per tutti Matt Damon. Noi quella “stanza” la chiamiamo più amichevolmente studio, è la camera che meglio ci rappresenta, perché è lì dentro che mettiamo il meglio di noi, quando cioè eravamo bambini prima e ragazzi poi e nel Pantheon della nostra stanza ci vanno la collezione dei Topolino, o meglio dei Classici di Topolino, quelli vecchi senza numero sulla costa.
Tutti i dischi in vinile con piatto Technics regolamentare e ora che ci penso, visto che ormai in salotto la musica la sentiamo con un iPod attaccato a una cassa qualunque, nello studio rimontiamo proprio lo stereo della camera nostra, per capirci casse Indiana Line (collegate però con cavi molto affidabili da 100 € al metro, non con il cavetto rosso-nero), piastra JVC (per risentire tutte le cassette audio Basf o Sony del liceo, e che non abbiamo certo buttato, no? Anzi, adesso che le risento le rifaccio uguali nelle playlist di iTunes e me le rimetto sull’iPod), amplificatore Luxman, e sintonizzatore Sony. Ecco fatto, tutto funziona, mi sento meglio, e facciamoci un regalo: per il piatto ci compriamo una puntina nuova! Che bello ripronunciare queste parole, ve’?
Adesso tiriamo giù anche quella bella tastiera Roland (ormai un pezzo di ferro) e ci divertiamo a sentirci Beethoven per 15 secondi. Dove sono gli Oscar Mondadori di Hemingway e Francis Scott Fitzgerald che mi facevano sentire un eroe quando li leggevo a 16 anni? Eccoli lì messi tutti in ordine! Vicino ci metto l’hard disk del backup, no anzi lo nascondo nel cassetto della mia scrivania. Tutta la collezione delle riviste che ci piacevano e che oggi non esistono più, provate a sfogliarle di nuovo, piangerete davanti alle vecchie pubblicità di Vecchia Romagna etichetta nera o dei reggiseni della Lovable con quelle modelle anni 80. Le cassette betamax, e le vhs, il portacenere dello Squalo preso agli Universal Studios, e il diploma della scuola sci di Alba di Canazei.
Un piccolo frigo (Brad ha una ghiacciaia, buona idea) per metterci le birre, le coche light, una boccia di Krug, non si sa mai, una scatola di sigari, ormai siamo grandi, vorrei poter offrire un sigaro a un mio amico mentre ci sentiamo “Rubber Soul” che scricchiola sotto la puntina nuova, magari lui ha portato “Greetings From Asbury Park, N.J.” e ci sentiamo pure quello...
Non dimentichiamoci un divano, non solo per stare comodi ma per andarci a dormire la notte del litigio con la gattina della nostra vita, che proprio grazie a quel divano potrà essere risolto con una notte fuori dal letto d’ordinanza. Avremo con noi un vecchio plaid di cachemire blu della Elgin spruzzato di Oyedo per piangere di nostalgia, e il giorno dopo avremo quello sguardo di chi sa che da solo ce la può ancora fare!
Per una notte.

venerdì 2 ottobre 2009

The Beatles, the neverending cofanetto


Ma insomma che facciamo con i Beatles? Questo ennesimo cofanetto rimasterizzato si compra o no? Il problema è che questi 13 dischi ce li abbiamo in diversi supporti: i dischi in vinile, più qualche cassetta che ci volevamo portare dietro nello stereo in macchina per sfrecciare sull’Aurelia e sentirsi liberi nel tragitto per Maccarese. Poi ce li siamo ricomprati tutti in cd per risentirli senza i graffi, la polvere e la vita nostra che si era annidata nei solchi. Poi ci siamo comprati i tre tripli di Anthology, trepertrenove, per sentirci tutti i tagli, le prove, i colpi di tosse, le risate, qualche litigio che rifiutavamo anche semplicemente di concepire, di quei 4 in sala d’incisione. Poi è uscito LOVE, quello che si può considerare come il nuovo e ultimo disco dei Beatles, e ce lo siamo ricomprato, già ripulito e rimasterizzato per il nuovo spettacolo resident del Cirque du Soleil, lo puoi vedere solo a Las Vegas, Nevada, Stati Uniti d’America, comodo, no? Il cd è uscito anche in versione dvd 5.1, se a casa avevi il Dolby, automaticamente il salotto (e forse anche il palazzo) risuonava delle suggestioni di George Martin e i suoi remix: bello, esaltante, una novità nel senso stretto del termine.
Ma ora che queste 185 canzoni le conosciamo come una vecchia maglietta, ora che le recitiamo a memoria come un’avemaria, ce le dobbiamo comprare rimasterizzate dai master originali degli studi di Abbey Road (dove siamo già andati a farci la foto sulle strisce a Londra di sabato all’alba, così ci sono meno macchine, ma sempre un discreto numero di imbecilli come noi a fare la fila per farsela da soli), per scoprire questo suono come forse nemmeno loro lo hanno mai sentito? Io quindi mi chiedo, ma Paul McCartney che si ricorda di quello che sentì dalle casse dello studio? Che ne sa? Mi si vuol far credere che all’ascolto del cofanetto, che gli avranno senz’altro regalato, abbia esclamato:
- Oh! Ecco com’era Hey Jude! Adesso sì che la riconosco...
Dopo appena 29 anni, dopo averla suonata migliaia di volte e chissà quante riascoltata piangendo di notte ricordando John Lennon che posandogli una mano sulla spalla lo incoraggiava a lasciare quel verso “Don’t carry the world upon your shoulders”, McCartney si ricorda di come era? Lui che più di averla sentita bene in studio, l’ha sentita bene in testa! La verità infatti è proprio questa, come l’ha sentita lui, noi non ci riusciremo mai.
E allora io vi ordino di lasciar perdere tutto e di rimettere Abbey Road su vinile sul vostro piatto e di piangere senza rovinare la copertina...

PS: nel frattempo la vera Lucy se ne è andata davvero in cielo e i diamanti se li è trovata tra le mani che le cadevano giù, giù, sempre più giù...