
Un anno senza ponti vuol dire un anno senza partire. E quest’anno è andata così: è la sentenza emessa da chi, come un roditore, ha scrutato il nuovo calendarietto che gli ha regalato il giornalaio o l’assicuratore, già me lo vedo con quelle zampette e i dentoni affannati che corrono a stanare le date in rosso oltre alla domenica, per attaccarci un venerdì o un lunedì oppure, “GOL!”, una bella festa di mercoledì, il massimo: “con due giorni di ferie mi sparo cinqueggiorniasciàrm”, che servirebbero, secondo le intenzioni, a “staccare la spina” ma in realtà sono soltanto un ennesimo modo per fuggire da se stessi. È così che viene vista quest’anno la tragedia di non avere jolly da posizionare accanto a un weekend. Dico tragedia perché li sento: “Rimanere a casa? E che faccio?”. Nella foia di “partire” mi sembra che ci sia il terrore di “rimanere”, come se fosse un torto o una colpa o essere esclusi da un giro che abbia il refrain di dire ogni venerdi: “Cheffài? Parti per il uicchènd?”. Rispondere no è da disgraziati. Rimanere fa paura, bisogna guardare in faccia la realtà di due giornate senza lavoro con il tempo che si allarga in una cornucopia vuota: leggere un giornale con un po’ di calma e non solo per i necrologi e l’oroscopo, o addirittura qualche pagina di un libro e non solo la guida di sky, andare a fare una passeggiata per il puro piacere di guardare un cornicione o un albero, o incontrare una persona per chiedergli DAVVERO come sta, diventano una paura, un pericolo da evitare. Se Franca Valeri dice che oggi il vero coraggio per una donna è quello di mettersi un tailleur di pomeriggio (e sarebbe la regola), fatemi aggiungere che anche guardare un amico negli occhi ormai è un atto di coraggio, senza cellulari che squillano con telefonate che rimandano inutilmente a un “dopo” senza nome. No, meglio tuffarsi in una strada statale (a Roma sono due le alternative più gettonate: l’Aurelia o la Pontina) con altre migliaia di macchine, avendo previsto l’ora più adatta per “partire in modo da evitare il traffico”, prova generale per l’esodo di agosto, e scoprire che tutti hanno avuto la stessa pensata, dare manate ai figli seduti dietro, che per due ore si ritrovano senza play portatile o senza schermi sui poggiatesta dei genitori per vedere comodamente un dvd magari pirata, non guardare mai la moglie che comunque chiama chiunque al cellulare per organizzare un cinema con pizza o MacDonald’s a seguire. Eppure sarebbe proprio quel tempo libero che andrebbe utilizzato per capire cosa si vuole veramente dalla vita oltre al binario che, forse per necessità, si è preso controvoglia. Avere il modo di guardare fissi un fiume che scorre, un gruppo di vecchi che giocano a bocce o un bambino che urla per avere un palloncino, potrebbe aprire un varco della nostra mente normalmente impegnata a seguire un flusso ordinato da altri, mail e sms compresi. In quel varco magari c’è una soluzione o più semplicemente un’idea. Oppure, se proprio non ce fate, consolatevi: oggi è lunedì.