lunedì 31 gennaio 2011

Un anno senza ponti


Un anno senza ponti vuol dire un anno senza partire. E quest’anno è andata così: è la sentenza emessa da chi, come un roditore, ha scrutato il nuovo calendarietto che gli ha regalato il giornalaio o l’assicuratore, già me lo vedo con quelle zampette e i dentoni affannati che corrono a stanare le date in rosso oltre alla domenica, per attaccarci un venerdì o un lunedì oppure, “GOL!”, una bella festa di mercoledì, il massimo: “con due giorni di ferie mi sparo cinqueggiorniasciàrm”, che servirebbero, secondo le intenzioni, a “staccare la spina” ma in realtà sono soltanto un ennesimo modo per fuggire da se stessi. È così che viene vista quest’anno la tragedia di non avere jolly da posizionare accanto a un weekend. Dico tragedia perché li sento: “Rimanere a casa? E che faccio?”. Nella foia di “partire” mi sembra che ci sia il terrore di “rimanere”, come se fosse un torto o una colpa o essere esclusi da un giro che abbia il refrain di dire ogni venerdi: “Cheffài? Parti per il uicchènd?”. Rispondere no è da disgraziati. Rimanere fa paura, bisogna guardare in faccia la realtà di due giornate senza lavoro con il tempo che si allarga in una cornucopia vuota: leggere un giornale con un po’ di calma e non solo per i necrologi e l’oroscopo, o addirittura qualche pagina di un libro e non solo la guida di sky, andare a fare una passeggiata per il puro piacere di guardare un cornicione o un albero, o incontrare una persona per chiedergli DAVVERO come sta, diventano una paura, un pericolo da evitare. Se Franca Valeri dice che oggi il vero coraggio per una donna è quello di mettersi un tailleur di pomeriggio (e sarebbe la regola), fatemi aggiungere che anche guardare un amico negli occhi ormai è un atto di coraggio, senza cellulari che squillano con telefonate che rimandano inutilmente a un “dopo” senza nome. No, meglio tuffarsi in una strada statale (a Roma sono due le alternative più gettonate: l’Aurelia o la Pontina) con altre migliaia di macchine, avendo previsto l’ora più adatta per “partire in modo da evitare il traffico”, prova generale per l’esodo di agosto, e scoprire che tutti hanno avuto la stessa pensata, dare manate ai figli seduti dietro, che per due ore si ritrovano senza play portatile o senza schermi sui poggiatesta dei genitori per vedere comodamente un dvd magari pirata, non guardare mai la moglie che comunque chiama chiunque al cellulare per organizzare un cinema con pizza o MacDonald’s a seguire. Eppure sarebbe proprio quel tempo libero che andrebbe utilizzato per capire cosa si vuole veramente dalla vita oltre al binario che, forse per necessità, si è preso controvoglia. Avere il modo di guardare fissi un fiume che scorre, un gruppo di vecchi che giocano a bocce o un bambino che urla per avere un palloncino, potrebbe aprire un varco della nostra mente normalmente impegnata a seguire un flusso ordinato da altri, mail e sms compresi. In quel varco magari c’è una soluzione o più semplicemente un’idea. Oppure, se proprio non ce fate, consolatevi: oggi è lunedì.

lunedì 24 gennaio 2011

Passaparola


Siete andati al cinema ieri? Era il giorno ideale! Preferibilmente allo spettacolo delle 1830, in modo da poter organizzare una pizza e poi una bella botta di Report che ci ammazza o la registrazione di Fabio Fazio, meglio, e via a dormire perché oggi, ve lo ricordo, è lunedì! E proprio stamattina cominciano i dolori degli esercenti e dei produttori quando “spizzano”, come in una mano a poker, gli incassi del Cinetel, che dipendono alla fine dei conti, da una sola variabile: il passaparola. Speranza dei debuttanti e timore dei vecchi del mestiere, cos’è veramente? È la chiacchiera di pochissimi secondi tra uno spettatore e l’altro, viaggia di suo come un virus e come tale non sai mai se resisterà, nel bene o nel male. Non c’è critica o giudizio del pubblico che tengano, è solo un pollice verso o alzato che in un attimo, il primo weekend di uscita, decreta il vero successo di un film, pubblicizzato o meno. Vediamo in dettaglio una piccola serie di esempi cominciando da come viene storpiato un titolo davanti al botteghino al momento di fare il biglietto, con buona pace del tempo perduto in riunioni inutili per trovarlo: “Hereafter” per esempio, diventa soltanto “4 posti per Eastwood, grazie” e i commenti che generano l’eventuale passaparola sono di questo tipo: “Solenne, con un tema così sdrucciolevole poi, ahò ma Clint cià 82 anni, ti rendi conto?”- “E infatti ha dovuto parlare dell’aldilà!” - “Ma com’era lo tsunami, pazzesco vero?” - “Non lo so, io mi sono coperto, avevo troppa paura, non ho visto niente”. Fine, il film nel “passaparola” è tutto qui. Andiamo avanti, “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni” (peraltro tradotto malissimo dall’originale “You will meet a tall dark stranger”) al botteghino, come al solito, diventa “Woody Allen”. Il commento finale, ormai da anni devo dire è sempre lo stesso: “Fa sempre la stessa storia” - “Sì, però c’è sempre quella battuta che da sola vale il prezzo del biglietto” - “Ho capito, ne hai visto uno, li hai visti tutti...”. Proseguiamo con “La versione di Barney” detto semplicemente “Barni”: “Bello, ma non mi ha preso, perché scusa, ma come fai a prendere uno così brutto (che sarebbe Paul Giamatti), ma non ci credi mai che lui si è messo con Miriam, quella finale, quella bella” - “Sì, però ammàzza quanto è fredda lei, eh!” - “Invece l’amico, quello che lui spara in alto, si vede benissimo che non l’ha ammazzato lui, quello è fico davvero!” - “E Dustin Hoffman? Sempre bravo, ve’? Ammazza quanto è invecchiato però! Io me lo ricordo in Kramer contro Kramer che già mi sembrava vecchio!”. Il film di Stephen Frears, “Tamara Drew”, al botteghino è diventato “Mara qualcosa”: “Vabbè la storia è tratta da un fumetto, ma tu l’hai visto?” - “Ma che il giornaletto? No! Ma il film com’è?” - “Così...”, questo “così” è accompagnato da una faccia che nemmeno una minestrina fredda riuscirebbe a suscitare. E quindi “Che bella giornata” diventa semplicemente il film di Checco Zalone: “Me so’ morto dalle risate!”. Totale: 32 milioni di euro. Che vorrà di’?

lunedì 17 gennaio 2011

Metti una sera a cena


“Metti una sera a cena”, uno dei più grandi titoli mai inventati, un testo teatrale e poi film di Giuseppe Patroni Griffi, il grande autore e regista scomparso 5 anni fa, è l’esercizio che dovremmo fare in queste sere di gennaio inoltrato. Messa l’anima in pace con il calendario che non prevede più weekend lunghi con ponti di nessun tipo (meno male, ma ne parliamo un’altra volta), bisogna mettersi a tavolino a ragionare, finalmente, per organizzare una cena come si deve con inviti ragionati, appunto, e non abborracciati come quelli di sempre con attenuanti, che andrebbero chiamate scuse, tipo: “non lo invito mai - devo ricambiare - ma quello come fai a non invitarlo? - sta sempre solo - m’invita sempre - poveraccio, mi fa pena” per concludere con: “quanto è bona la moglie”. No. Questa sera a casa mia voglio invitare a cena qualcuno che mi dia qualche cosa, per l’anima, uno spunto per una riflessione, che racconti qualcosa di se, che ponga una domanda ficcante, capace di fare una sana polemica, qualcuno che butti sul tavolo, come fosse un rilancio al buio, un argomento importante. Organizzare un tavolo è un’arte di cui si parla solo nei libri di Benedetta Craveri sui salotti francesi dell’epoca di Madame du Deffand. Ma all’epoca non c’era la tv che imponeva serate di urla davanti all’ennesimo Grande Fratello, c’era solo un caminetto acceso che faceva perdere nei suoi bagliori, c’erano vestiti che lasciavano immaginare la qualunque, e volersi perdere in quei meandri scatenava discorsi pazzeschi al solo scopo di sedurre! Mettere a pranzo persone bene assortite diventava quindi un obbligo pena la noia mortale. Allora approfittiamo di questo gennaio senza fine e proviamo a mettere in scena un “metti una sera a cena” con, per esempio, Valentino Garavani per chiedergli come diavolo s’è inventato quel suo “rosso”, tanto da diventare il “rosso Valentino”, quindi accanto Giorgio Armani (dove altro potrebbero incontrarsi i due re della moda italiana se non in una casa privata che non conosce nessuno?) per chiedergli di contro come lui s’è inventato il suo “greige” (un misto tra il grigio e il beige) che non esiste in natura, non è un colore previsto dal prisma. Per due sarti che vestono e si vestono come si deve vanno presi due che non c’entrano niente ma che con lo stile hanno a che fare da sempre: Adriano Panatta, scicchissimo nelle sue mises casual e chiedergli come si è inventato la “veronica” cioè quella volée di rovescio, che tanti hanno tentato d’imitare senza successo, e poi Gianni Boncompagni, in tuta da sempre, l’uomo che si è inventato il “tuca tuca” 40 anni fa e che ancora oggi viene suonato e addirittura ballato. A questo punto ci vuole una ragazza, carina, sulla bocca di tutti con un argomento d’attualità, una che ha venduto ottocentomila copie del suo “cotto e mangiato” e chiederle qual è il segreto per vendere così tante copie di un libro di ricette facili quanto e più di un quattro salti in padella, per avere da Benedetta Parodi una risposta illuminante: “non lo so!”. Buona serata.

lunedì 10 gennaio 2011

Have a good day!


La storia della sveglia dell’iPhone che non ha squillato a mezzo mondo è molto più spaventosa di quello che sembri. Per chi non lo sapesse, dalla mezzanotte del 1° gennaio 2011, infatti non ha suonato la sveglia a TUTTI I POSSESSORI di un’iPhone 3, con il nuovo sistema operativo installato. Chi possiede l’iPhone 4 (con alcune eccezioni: la sveglia ripetitiva), può evitare di leggere questo pezzo, ma già che ci sta, magari si troverà d’accordo con me nell’assunto iniziale. Infatti una sveglia mancata non è uguale a non trovare sul cellulare l’ora solare rimessa in automatico, siamo ancora troppo abituati a farlo a mano con gli altri orologi di casa o con quelli da polso. Ma la sveglia no. Se non suona è una tragedia. Possono saltare appuntamenti, anche di lavoro, con pericolose reazioni a catena (mica solo per sentire il Concerto di Capodanno!). Con la sveglia non si scherza. E vabbè che se è DAVVERO importante, di sveglie se ne mettono due, come a dire che se una non funziona “almeno c’è l’altra”, tra l’altro mettendola “scomoda”, non a portata di manata violenta per zittirla. Ma chi ha un iPhone non poteva immaginare, fino a pochi giorni fa, di poter mai avere un simile problema. Ecco quindi che, forse per la prima volta, un sistema operativo, comune a milioni di telefonini nel mondo, da New York a Cantuccio Ermenate, ha deciso per le vite di tutti i suoi possessori, con varianti che vanno dalla commedia americana alla Neil Simon fino alle tragedie greche alla Sofocle, vallo a sapere. Un sistema operativo ha deciso, o meglio HA SBAGLIATO, non noi. È solo una sigla (iOS 4.2) con dei codici all’interno, qualcosa con la quale non ce la possiamo prendere. Non si può protestare, si può solo sperare che lo riparino con una “stringa” nel più breve tempo possibile. Ma se gli risalta in mente di fare qualcosa che non ci aspettiamo, tipo cancellare solo “quella” foto di nostro figlio, non ti ridà nemmeno un rullino indietro, come faceva una volta la Kodak. Questo panico internazionale mi ha ricordato un’altra avventura che abbiamo vissuto tutti insieme senza distinzioni, una sorta di “livella” di Totò, quando alle 3.20 del mattino del 28 settembre 2003 in TUTTA Italia se ne andò la corrente elettrica (e a Roma c’era pure la prima notte bianca!). La mattina della domenica tutti si ritrovarono senza la possibilità di sapere qualcosa da qualcuno, se non questa brutta frase: “pure io non ce l’ho la luce!”. E in quella situazione chi ha vinto? Mia madre, per esempio, che aveva una radio, certo, ma A BATTERIE, la cosiddetta “radiolina”, e che le ha quindi permesso di rispondere in maniera trionfale alla mia domanda “ma che è successo?!”. Da quel giorno senza una “radiolina”, che vi ricordo, è nata appena nel 1895, non si vive. Concludendo: arriverà una “botta” di cui ancora non conosciamo la natura, anche, per esempio, con Facebook? Chi lo sa? Nel frattempo, datemi retta: comprate una “sveglietta”, di quelle a carica e mettetela là dove deve stare: sul comodino!
PS: Buon anno, se vi siete svegliati!