mercoledì 30 novembre 2011

Profumi 2


Finimondo: dopo l’ultimo pezzo sui profumi, i commenti si sono scatenati per comunicare le ingiustificate assenze da quella lista che era un collage personale di vecchie sensazioni “mosse” dai grandi classici della profumeria mondiale più che un elenco di “must have”. Ma, secondo le vostre giuste segnalazioni, oggi la completo aggiungendo almeno due grandi case profumiere. Penhaligon’s: bisogna cominciare dalla bottiglia, il solo maneggiarla ti catapulta nel 1870, l’anno in cui venne fondata dal suo omonimo creatore. Forse fu proprio questo il motivo, la macchina del tempo, che spinse Franco Zeffirelli a un certo punto della sua vita, ad aiutare una sua amica stilista, Sheila Pickles, che ritrovò in una cappelliera qualche ricetta originale , ad aprire il piccolo e ormai storico negozio a Covent Garden, a Londra, l’unico posto dove si è autorizzati dalle proprie paranoie a comprarlo, per provare il brivido di essere trattati male mentre si cerca di pronunciare correttamente il nome dell’essenza: “Blenheim Bouquet”.
Per Creed (since 1760!) va invece fatto un discorso a parte, personalissimo. I campioncini che personalmente odio (non sai dove metterli, si aprono a tradimento, non li trovi mai e se li trovi ti mettono in difficoltà: “come mai sta qui nel pigiama?”) mi sono stati utili, per una volta almeno, per individuare il nome di un’essenza Creed in un fortunatissimo incontro della mia vita con Quincy Jones, il più grande produttore di musica black di tutti i tempi! Dopo una lunga chiacchierata in cui abbiamo dissertato di come fosse mai possibile che Michael Jackson, da lui prodotto all’epoca, fosse stato denunciato per plagio per avere copiato una canzone di Al Bano, dopo esserci salutati con un abbraccio fraterno (hey brother!), una fitta mi prende al naso e riconosco uno dei campioncini di quel Creed, ma il nome? Quale poteva essere il profumo di Quincy? LO VOLEVO SUBITO! Corro a casa, li apro tutti e finalmente leggo il nome “Green Irish Tweed”. Ma che c’entra con Quincy? - mi chiedo. Volo in profumeria e chiedo la boccia più grossa di quel Creed. Vederla e capirlo è stato un attimo: era TUTTA NERA, anche le scritte! Che genio! Il suo profumo, nero come lui, e da quel giorno, ma solo quando voglio sentirmi jazz, o meglio, cool, con due gocce non sono in Irlanda ma nell’orchestra di Quincy Jones!

giovedì 24 novembre 2011

Profumi


I profumi che ci hanno accompagnato nella vita messi uno vicino all’altro possono addirittura diventare come un album di fotografie suddividendo la nostra esistenza in epoche: “Qui usavo Dior, qui invece Calvin Klein”. Quali sono i profumi che ci hanno resi schiavi della loro fragranza? Potremmo parlarne per ore, semplicemente perché si entra nel mondo dei gusti personali e quindi ognuno ha i suoi. Però certi classici hanno anche la loro storia, dalla quale si può essere sedotti, come il Vétiver o Habit Rouge della Guerlaine, dedicato quest’ultimo ai cavalieri e alla loro divisa appunto: quando si saluta un amico che non si vedeva da tempo e questo indossa uno dei due profumi, capirete all’istante che è a lui che vorrete confidare tutti i vostri segreti. Roger Gallet, una marca che pronunciavamo solo a Natale per regalare le saponette a Nonna, in realtà è anche e soprattutto la casa dell’Eau Imperiale, l’acqua di Colonia che ci fa sentire re anche se il ricordo più forte ce lo restituisce solo la 4711, agrumata, che ci fa tornare bambini freschi freschi di bagnetto cosparsi di Borotalco, Robert’s ovviamente, pronti per andare a nanna, anche senza Carosello. Ve lo ricordate quell’uomo appoggiato a una sbarra d’acciaio con addosso un asciugamano a nido d’ape in bianco e nero? Volevate essere così, semplicemente: bastava fare uno splash-down di Eau Savage di Christian Dior, e il gioco era fatto, oggi poi che hanno ritirato fuori quella foto di Alain Delon, senza sigaretta però, sempre in bianco e nero (per forza: siamo tutti più belli!), la sensazione di essere semplicemente inarrivabili per chiunque sarà ancora più violenta. C’è un profumo che solo il nome, “Halston Z14”, basta a sentirsi internazionali: mi trovo già in un aeroporto hub mondiale, nella lounge della very first class, alla top of the list. Fatto! E ve lo ricordate Caron? Ma che gli vuoi di’ se anche le donne lo hanno utilizzato a litri? Certo mai nessuna è riuscita a farlo così come Jacqueline Bisset usava Equipage e quella sua bottiglia fantastica con il tappo di radica. Trucco che non riesce al contrario: ve lo immaginate un uomo che porta Chanel N° 5? No, è impossibile. Riesce solo con un profumo della Diptique, la casa che produce anche le candele che ti fanno sentire subito a casa di Luchino Visconti, si chiama Oyedo, l’antico nome della città di Tokio. Due gocce di quel rosmarino pazzesco addosso e uomo o donna saranno due prede del delirio di tutti: e tutto questo solo con due gocce di profumo. Ci rendiamo conto o no?

lunedì 14 novembre 2011

Zecchino d'Oro


“È sempre colpa dei genitori!”. È vero? Non è vero? E Bollea allora? Che diceva che le madri hanno sempre ragione? Ma nella ricerca sfrenata di un qualsivoglia talento del figlio, non c’è regola che tenga: “MIO FIGLIO FA, MIO FIGLIO È!” Soprattutto artista, attore, cantante, ballerino, musicista, insomma “on the stage!”. Perché questi genitori non si rassegnano al fatto che il loro figliuolo andrebbe assecondato ed eventualmente aiutato a scegliere quello che piace a lui e basta? Magari lo studio, pensa che roba! Invece no, deve andare in scena sempre! Che poi sia chiaro, questi padri e madri fanno sempre il paio con quegli altri che accompagnano i loro ragazzini a nuoto col cronometro, o ad atletica, o a scherma o dove vi pare ma sperando che raggiungano quei risultati, da podio, un altro palco che, evidentemente, loro non sono riusciti mai nemmeno a sognare.
Noi tutti ricordiamo quei giorni della nostra infanzia quando il portiere di casa annunciava che a giorni sarebbero arrivate per posta le cartoline per partecipare alle selezioni dello Zecchino d’Oro, col mitico Mago Zurlì e il Piccolo Coro dell’Antoniano di Bologna diretto da Mariele Ventre! Ma quando mai? Non arrivava niente, se non la presa in giro del portiere stesso: “ma quale Mago Zurlì, al massimo ti chiama Richetto!” (che, per la cronaca, era Peppino Mazzullo, voce di Topo Gigio). Le canzoni erano filastrocche per bambini che ancora stavano attaccati al giradischi di casa con le fiabe sonore della fratelli Fabbri e il disco che cantava “a mille ce n’è, nel mio cuore di fiabe da narrar...”. Avete mai provato a trovare da un rigattiere quegli album enormi? A Trieste per esempio esiste “La Rigatteria”: uno sguardo alle illustrazioni di Pikka per i “Musicanti di Brema” e le lacrime righeranno quelle pagine tanto da dovervi scusare ricomprando ciò che apparteneva al vostro cuore da sempre. Ma non stiamo parlando dello Zecchino d’Oro, ma di quei programmi che vanno in onda di questi tempi e io francamente non ce la faccio ad ascoltare una bambina che canta “e se domani io non potessi rivedere te”: a chi si riferisce? A quell’età solo ai genitori, che farebbero meglio a fare gli scongiuri invece di trepidare per quella figlioletta con in bocca parole da grandi e dare quindi ragione a Renato Rascel quando già nel 1970 cantava “dodici anni sono pochi per sentirsi donna”. Oppure un maschietto che canta “I migliori anni della nostra vita”: ma che vuol dire, quando ha tutta la vita davanti? Il problema alla fine è sempre quello: ma questi genitori invece di far credere ai loro ragazzi di poter diventare Mina o Renato Zero, perché non fanno due passi con loro per andare al cinema o a teatro? Per potergli spiegare che c’è un tempo per tutto e invece di andare in uno studio televisivo a cantare canzoni che non gli stanno in bocca, potrebbero confessare senza paura cosa gli piacerebbe fare. Da grandi, non ora. Ora si studia. E domani è un altro giorno e si vedrà. Come diceva Ornella Vanoni: a 37 anni però!

lunedì 7 novembre 2011

Oro puro


“ORO PURO”, così Walt Disney definì il suo cartone animato realizzato nel 1942. A cosa si riferiva? Alla storia del cerbiattino che crescendo attraversa la sua linea d’ombra sopportando addirittura la morte della madre (ed è per questo che dovrebbe essere vietato ai minori di 18 anni) e che alla fine del film diventa rispettato come il padre? O forse si riferiva agli amici che Bambi si ritrova accanto, come Tamburino? O forse alla spensieratezza di quei giorni felici quando il problema più grande della sua vita era imparare a pattinare sul ghiaccio? Mah: fatto sta che con la parola “oro” si definisce qualcosa di prezioso e con la parola “puro” qualcosa d’incontaminato. Quindi forse è così che dovremmo definire gli anni della nostra vita che vanno dai 10 ai 14, gli anni in cui un cervello riesce a far coesistere la purezza di certi ragionamenti con le prime belle deduzioni coscienti. Anni che rimpiangeremo quando guardando una foto ci riconosceremo per quello che saremmo diventati senza saperlo. È per questo che quando oggi si ascolta un ragazzino di quell’età è difficile restare indifferenti ai suoi ragionamenti, quali che siano, perchè sono impastati di una grazia irripetibile e disarmante, e anche perché non sono ancora “sporcati” dagli ormoni. Eppure per Disney furono anni d’inferno, non se lo filava nessuno, andava in giro a portare disegni a destra e a sinistra con idee che allora sembravano assurde. Ma da uomo, anni dopo, si ritrovò a passeggiare in una città da lui costruita e che portava il suo nome: Disneyland! I fatti quindi gli hanno dato ragione. Mi chiedo quindi se c’è un’età per dire “io questo non lo posso più fare”? Esiste un’età perché si smetta di sognare che una città possa chiamarsi come te? Io dico di no, perché quell’oro che una volta ci brillava in faccia adesso si è semplicemente spostato. Dentro di noi. Trovarlo non è difficile: si tratta di “recuperare” quello che ci piaceva veramente a quell’età e sentire se ancora lo apprezziamo. Se la memoria non aiuta (ormai il nostro “hard disk” si sta riempiendo sempre di più) tocca prendere tutti i libri che si hanno e tenere SOLO quelli che ci piacciono ancora, che ci ricordano qualcosa o che stimolano la nostra curiosità. Stessa operazione per dischi e cd, vestiti, oggetti, ricordi, mobili, pentole, tutto! Sono questi oggetti che, in un modo o nell’altro, ci hanno costruito aggiungendosi come una seconda pelle al nostro carattere, quello di “default”, quello del DNA per capirci. Bene: in quel che rimane c’è il NOSTRO ORO, intatto, è lì che risiede quello spirito che ancora oggi ci commuove mentre riguardiamo una foto dai colori sbiaditi con un colletto della camicia assurdo e un taglio di capelli improponibile. Avere la propria scorta d’oro personale ci solleverà dal piombo degli ultimi anni.
Tra l’altro l’oro, di questi tempi, vale molto: in un anno è passato da 1424 a 1745 dollari l’oncia, rendendo quindi il 26 % in più. Poco?