tag:blogger.com,1999:blog-84088798462167989402024-03-13T15:37:47.039+01:00Pagine Rossile pagine senza le quali puoi vivere benissimoRichttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.comBlogger331125tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-2066187330336519602023-09-04T17:29:00.001+02:002023-09-04T17:29:20.521+02:00Dov'è finito tutto<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglgHk4KDtuKCMXciPhxYpk_d760AJ6ERyuxUillge1kDdEftJ-8V7epvNb6zZrwDcKAQPk2yZ9FAvlNaOv8eNWuxQkDJmHqrwJy020H_o1Q08WkO7vv8QT2fslc5cwi2Anrtsh3xKbFL167P1CWlrSG-fdC12_HwJeH8UrnA5ePPqsAkjh7xDx2EcOlLqI/s1020/asteroide-contro-la-terra_1020x680.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="680" data-original-width="1020" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglgHk4KDtuKCMXciPhxYpk_d760AJ6ERyuxUillge1kDdEftJ-8V7epvNb6zZrwDcKAQPk2yZ9FAvlNaOv8eNWuxQkDJmHqrwJy020H_o1Q08WkO7vv8QT2fslc5cwi2Anrtsh3xKbFL167P1CWlrSG-fdC12_HwJeH8UrnA5ePPqsAkjh7xDx2EcOlLqI/s320/asteroide-contro-la-terra_1020x680.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Dove sono finiti quei bicchieri di whisky, che ti facevano sentire “grande” quando eri ancora un ragazzino, ti piaceva così tanto versarlo, facevi un gesto adulto, negli anni una ragazza ti ha regalato un paio di bicchieri giusti per berlo, e adesso quei bicchieri sono in una credenza, appannati perché non li usi mai, se non fosse che poi una sera li tiri fuori, per un amico importante (ma non è un amico, è un conoscente), e non ti senti più grande, ma solo vecchio.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Dov’è finita quella macchina che se potesse parlare racconterebbe di baci rubati riportando a casa una ragazza che ti piaceva ma che chiudendo il portone ti salutava in un modo tale da farti pensare “non la voglio rivedere più” ... oppure racconterebbe di tutte le volte che ti ha aiutato, non sa nemmeno lei come, a farti tornare a casa con 2000 lire di benzina, senz’olio nel motore, coi freni che nemmeno la bici, “tanto ci penso domani”.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Dov’è finita quella camicia che mettevi quando volevi essere elegante? E se non te l’avevano lavata perché ti sembrava di averla usata una settimana fa, invece era solo l’altro ieri, diventavi pazzo perché non ce l’avresti potuta indossare quella sera: quella sera senza quella camicia ti sentivi strano, ti sentivi che non eri tu, ti sentivi inutile.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">E tutti quei libri che ti piaceva mettere per terra nella tua prima casa? Ti sembrava di fare una cosa pazzesca, in pile orizzontali tutti addossati al muro: “guarda come li ho messi, bello eh?”. Eri fortissimo agli occhi di tutti... oggi dove sono, in una bella libreria, di design certo, ma sono tutti in ordine, molti li hai addirittura riciclati, perché ti avevano già dato tutto quello che potevano, oppure non li avevi letti, diciamo la verità, e te ne sei disfato. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">E poi, certo, dov’è finita quella valigia di cotone impermeabile, che ha portato i tuoi stracci in giro per tutte le vacanze che facevi da solo, era sporca, rotta, con le fascette degli aeroporti, che quando un'hostess ti levava le vecchie tu rosicavi, perché erano proprio quelle fascette che urlavano a tutti "quanto" avevi viaggiato. E poi quella valigia ti piaceva perché aveva una strana macchia bianca, tutti pensavano a chissà cosa, e invece era solo la pipì di un coniglio portato in camera tua da una ragazza veneta dal sorriso disarmante una sera che volevate far tardi, e quando l'hai rivista anni dopo, quel sorriso non era più disarmante, perché non eravate più in vacanza. E nel frattempo il coniglio era morto. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">E quel cappelletto di lana blu, sì proprio quello di Jack Nicholson in Qualcuno volò, era di lana idrorepellente, anche se al primo temporale non lo dimostrò così bene, ci mangiavi a tavola con gli amici, tutti ti dicevano levati quel cappello e tu rispondevi e allora tu levati quei Ray-Ban, ma rimanevate tu con il cappello e lui con i Ray-Ban e vi veniva da ridere.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Ripenso a quei giorni, quando ti sentivi tutta la forza del mondo nelle tue mani, quando tutto era una scommessa da vincere, anzi, te lo dico, era già vinta, tanta l'euforia che ti permeava. Piove o tira vento, non te ne frega niente, io vado e mi prendo la vita, corro, sfreccio via da tutti i problemi che mi arrivano davanti e me li lascio alle spalle, è troppo bello andare avanti, avanti tutta! Non c'è una preoccupazione che si meriti questo nome nel mio vocabolario, non c'è paura, perché non c'è coscienza.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">È per questo motivo che non capiamo quando ci dicono:<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">- Ma sei incosciente?<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Si dovrebbe rispondere "sì, lo sono!" e salutare con una risata sfrecciando via, lasciandosi dietro una scia di polvere di asteroidi di vari sistemi solari fino allora sconosciuti: la vita ci attende e ci dice vieni da me!<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">E quindi mi chiedo dov'è finita quella voglia che avevi di fare e disfare, di buttare giù tutto e di ricostruire, di mangiarti la vita giorno dopo giorno, di ridere per un niente. Credo che sia rimasta dentro di te, sta dormendo con un plaid anche se è settembre, proprio quello finto scozzese a scacchettoni preso da tua madre con i punti miralanza, e si è appena rigirata dall'altra parte. Allora ti dico, levale quel plaid, così lo ritrovi pure, e urlale SVEGLIA! <o:p></o:p></span></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-35681532339361297822023-06-21T18:03:00.002+02:002023-06-21T18:05:22.715+02:00I giorni della maturità <p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEio3P4CiViox8lHZwdSS0_-L8uFc_M5fdWj_sTrLGubIpEl86WIBiuvSViYke7KF-gDo6f8ETmrsJ9SHUTKLo2Z6eg6TcBwgNoXjxhRSILJld9tBBCDsbV3El4piYa99Z0chcOo9tRn3kJcxStb07ECahgvB8ouynhXVlq4XjmEVEhTGOgXQFYD56rjIM_s/s500/s-l500.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEio3P4CiViox8lHZwdSS0_-L8uFc_M5fdWj_sTrLGubIpEl86WIBiuvSViYke7KF-gDo6f8ETmrsJ9SHUTKLo2Z6eg6TcBwgNoXjxhRSILJld9tBBCDsbV3El4piYa99Z0chcOo9tRn3kJcxStb07ECahgvB8ouynhXVlq4XjmEVEhTGOgXQFYD56rjIM_s/s320/s-l500.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Quando ogni anno a giugno arrivano i giorni della maturità, mi fanno sempre un certo effetto, anche se sono sempre più lontani, quel traguardo dell’epoca mi sembra sempre più vicino, chissà perché, forse perché era stata la paura più grande della mia vita fino al quel momento? Boh...<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Ma stasera ero a una cena di compleanno, di gente “grande”, peraltro come me e a un certo punto me ne sono andato sul balcone a prendere un po’ d’ aria e purtroppo ho guardato su in cielo: ho visto le stelle, il carro, ho pensato che solo dopo anni e anni capisci che tutte le costellazioni sono un bluff (le stelle non sono su uno stesso piano), ho pensato al mio motorino, un vespone, alla pioggia che prendevo senza parabrezza e a quanto mi rode se oggi piove (come in questo giugno), ho pensato a un amore perduto, a uno inutile e a quello che forse non avrò mai, ho pensato a tutte quelle cose che oggi mi sembrano facili da capire e che invece a 18 anni mi sembravano immense, ma che per presunzione sembravano a portata di essere umano. Ho pensato ai sogni che avevo e che oggi ancora ho... <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Ho pensato, ho riflettuto, e per un attimo ho avuto ancora 18 anni, con tutta la loro incoscienza. Dov'ero una vita fa con i pensieri, cosa facevo, "cosa" ero? Stavo sui libri di scuola a sottolineare tutto quello che credevo potesse servire, senza gli evidenziatori, perché quelli ce li avevano solo i secchioni, e pensavo (mi sono ricordato esattamente come e dove: sempre sul vespone PX guardando quel meraviglioso contachilometri rotondo), che una volta che mi sarei tolto l'esame di maturità, la mia vita sarebbe stata tutta in discesa! Che avrei fatto quello che mi pareva e che i problemi non ci sarebbero stati più: "dài, quest'esame e poi è finita!". Ma non è fantastico?!? Solo a 18 anni puoi pensare una cosa del genere, davvero, la pensi, e pensi che sia vera, che sia la cosa più vera che hai pensato in "tutta" la tua vita. Non sai che da settembre, dopo il viaggio del "che ne sarà di noi", ti ritroverai con tutto quel tempo in mano che dovrai organizzare in base a una decisione che si chiama "e adesso che faccio?" Ma non devi pensarci adesso, adesso devi pensare a "quell'ultimo scoglio" che la vita ti mette davanti.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Fatto sta che su quel balcone alla cena, improvvisamente si è avvicinata una mia amica con un gin-tonic dicendomi "non ci pensare!". È stato fantastico risvegliarmi in un secondo da quell'incubo nel quale ero finito.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">E indovinate un po’ che musica è partita sull’iPhone quando sono tornato a casa? "September" degli Earth Wind & Fire, guarda un po': il mese degli esami di riparazione!</span><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><o:p> </o:p></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><o:p> </o:p></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-61019481596628745292023-05-25T15:54:00.006+02:002023-05-25T15:54:58.988+02:00A che ora si va a letto, ormai?<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicvUUNPcjwws-l2TKLU4jdiet_Roje1kwERywZaNQrFtlpdsf1kVQ_vc6_xKzhRCvpAC4zLvpxNF_sVD24caKpQG1L-98egNgkgh7bZHt9zBq6D3SaO370iM7vSjQ1Pol3IlQObk2l7ul1z5Ag7dcGnnji_I4y3slflhRt2CffZO7PnEbMPWwFxhbUdA/s450/Perche-cenare-presto-fa-dormire-meglio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="450" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicvUUNPcjwws-l2TKLU4jdiet_Roje1kwERywZaNQrFtlpdsf1kVQ_vc6_xKzhRCvpAC4zLvpxNF_sVD24caKpQG1L-98egNgkgh7bZHt9zBq6D3SaO370iM7vSjQ1Pol3IlQObk2l7ul1z5Ag7dcGnnji_I4y3slflhRt2CffZO7PnEbMPWwFxhbUdA/s320/Perche-cenare-presto-fa-dormire-meglio.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Ho notato che l'orario per andare a letto (se non si è programmato in "Sonno" sull'iPhone) si è via via più anticipato rispetto a quando eravamo ragazzi, cioè poco tempo fa! Se ieri andavo a dormire alle 2, alle 3, senza problemi, oggi a volte mi ritrovo nel letto senza saperlo alle 23, alle 22.30, o addirittura alle 21.45! Ma questi orari gallinacei derivano in realtà dall'ora di cena della sera precedente che, attenzione, si è auto-anticipata.</span><span class="Apple-converted-space" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;"> </span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Da ragazzi, quando organizzavi una sera al ristorante per non cenare un'altra volta a casa con i tuoi, prima delle 21.30 non ci si poteva proprio arrivare, perché se provavi ad anticipare alle 21.00 c'era sempre qualcuno/a che arrivava comunque in ritardo, normalmente quello fico o quella bona che se la tirava, giustamente, e per la cronaca l'antipasto è nato proprio per aspettare quelli che tardano: "Porto una focaccia?" - "Due, con prosciutto e mozzarella, grazie!".</span><span class="Apple-converted-space" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;"> </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Poi finalmente siamo andati a vivere nella nostra prima casetta e lì si faceva una cena a sera, seduti per terra, senza sedie, senza tavolo, senza divano, senza niente, solo cartate di supplì e pizza a taglio, lattine e bicchieri di plastica, poi tutto in un sacco nero e buonanotte, non c'era la differenziata. Tutti gli amici invitati, orario: "passa quando vuoi".</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Poi è arrivata la prima convivenza, fermi tutti, c'è la first lady in casa, non decidiamo più noi, ma lei: alle 21! E basta. Tavola apparecchiata, piatti veri, bicchieri pure, posate anche, di carta solo i tovaglioli: "Vino chi lo porta, dolce? Ok!". Non si sgarra.</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Poi se tutto era andato bene, poteva arrivare anche il piccolo lord, e quindi decideva tutto lui senza saperlo nemmeno. Non esisteva più orario e in verità a cena non s'invitava proprio più nessuno. </span><span class="Apple-converted-space" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;"> </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Dissolvenza, siamo grandi, adulti, sposati o divorziati o scapoli. Orario cena: 21.00, ma noti che qualcuno comincia ad arrivare 10 minuti prima, tu per esempio, con una fame da lupi; lo dico perché personalmente alle 19.30 a casa mi sono già addentato un morso di parmigiano reggiano da quel cuneo meraviglioso che pensavo di grattugiare sulla pasta nell'arco di una decina di giorni: è un miracolo se invece finisce a morsi in tre.</span><span class="Apple-converted-space" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;"> </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Passa il tempo, la cena è programmata per: "Va bene alle 20.30? Perché non posso fare tardi...". Giusto, ormai cominciamo a sentire un po' di stanchezza e il giorno dopo ci dobbiamo alzare presto.</span><span class="Apple-converted-space" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;"> </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Passa altro tempo: "Troppo presto se ti dico alle 20.00 a tavola?". Tutti felici, primo, perché non vedono l'ora che si mangi, secondo perché non vedono l'ora di andarsene per tornare a casa e finire di vedersi la serie già cominciata prima di uscire a cena.</span><span class="Apple-converted-space" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;"> </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Avete capito perché i ristoranti aprono alle 19.30? Perché è pieno di vecchi che cominciano presto e vanno via presto e che mangiano un botto: come un vecchio, per l'appunto!</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;">Sono finiti i tempi in cui l'orario per andare a letto era uno solo: dopo Carosello!</span><span class="Apple-converted-space" style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 14px;"> </span></div><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /><br /></div><br /><br /></div><br /><br /></div><br /><br /></div><br /><p></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-498534743310952922023-04-16T11:42:00.008+02:002023-04-17T09:01:57.147+02:00Profumo di miscela<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggqtHkfD0JHUJ57J5ey8BxU3uPg9__ZEbdR6SeFpHlJmUNv-ZtMlYQIqWlBFGGw6w7h9txW-uL4bxOew9Jlxi_jOqExE7BXq9azbJGQPuOY2E67eyiaCbqL5bznOLvFVGYrrB46Bly7rzSkGHk5Ua8O3ZornMwT6WznFvc3nn7JkTu-fvnPzy0B_FB9A/s330/Distributore_miscela_olio_benzina_IP.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="330" data-original-width="220" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggqtHkfD0JHUJ57J5ey8BxU3uPg9__ZEbdR6SeFpHlJmUNv-ZtMlYQIqWlBFGGw6w7h9txW-uL4bxOew9Jlxi_jOqExE7BXq9azbJGQPuOY2E67eyiaCbqL5bznOLvFVGYrrB46Bly7rzSkGHk5Ua8O3ZornMwT6WznFvc3nn7JkTu-fvnPzy0B_FB9A/s320/Distributore_miscela_olio_benzina_IP.jpg" width="213" /></a></div><p></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: medium;">L'altro giorno: Roma, Ponte Cavour, semaforo rosso, io in seconda fila dietro un altro motorino, sguardo isterico a destra e a sinistra in attesa del verde, mi viene in mente una barzelletta romana anni 50, "definizione di frazione di secondo: l'intervallo che passa tra il verde e il clacson di quello dietro di te!"...<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: medium;">All'improvviso succede qualcosa, tutti fermi come prima, ma c'è qualcosa che mi distrae dal semaforo e mi fa guardare in giro per capire, non è un movimento, non è un rumore, è un odore, che proviene dal motorino davanti, un vespone, Piaggio, bianco, vecchio, sporco, è un attimo, capisco subito: la miscela! È il fumo della miscela dal tubo di scappamento: ma adesso mi sembra buono come l'aroma del caffè appena tostato! Perché mi sono ritrovato in un attimo davanti al benzinaio a dire "Ciao, mi fai due litri al 2?". Vallo a spiegare: quel dialogo con il benzinaio faceva parte dei primi rapporti con un adulto che forse non aveva ancora i figli dell'età di quel ragazzo che stava davanti a chiedergli 1000 lire di miscela. Mi sentivo un eroe, senza casco, senza parabrezza, senza miscela, senza una lira, senza una preoccupazione che non fosse quella di "domani che gli racconto a quella di scienze" e "ma come faccio ad andare da Alessia se sto in riserva". E lui mi guardava così, con problemi diversi dai miei, facendo quel mestiere duro, sempre uguale sotto la pioggia, il sole, il vento, tutti i giorni a respirare quei miasmi di benzina che ti piacciono solo quando fai il pieno ma non tutti i giorni 8 ore al giorno, lo stipendio che forse gli permetteva un mutuo, una moglie, un figlio in arrivo. Ma nonostante tutto mi dava retta agitando quelle leve della pompa per miscelarla con l'olio, quando gli dicevo "mettila tutta!" mentre lui accarezzava quel tubo di gomma come un domatore il suo boa constrictor per fargli nascondere quei decilitri in più che avanzavano dal precedente pieno, ma che io non avevo pagato! E al momento di pagare era impossibile lasciargli 50 lire di mancia, impossibile, perché mi servivano! Ripartivo a bordo del mio ciao blu, con una pedalata violenta, nervosa, rischiando di rompere il cavalletto, salutandolo di corsa, un urlo senza guardarlo "ci vediamo!", perché dovevo andare via di corsa, verso la mia vita fatta non di giorni, mesi, anni, ma da sequenze di 5 minuti, da bruciare una dietro l'altra, perché era così che la volevo, tutto subito, adesso, o niente. Alessia e basta! Scienze domani? Ma chi se ne frega!</span></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: medium;">Dissolvenza: è passata una frazione di secondo, quello dietro mi ha suonato e quindi è verde da un'ora! Chi era quello sul vespone? Ho visto solo che aveva un trench sporco, non ho fatto in tempo per altro, se ne è andato via di corsa, ma l'ho riconosciuto lo stesso: era il mio passato che scappava in una nuvola. Di miscela.</span></p><p></p><p class="p2" style="font-family: "Times New Roman"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-size: 14px; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16px;"><br /></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><br /></div><br /><p></p><p class="p1" style="font-family: "Times New Roman"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-54738169052524643962022-08-14T07:58:00.001+02:002023-05-25T15:59:08.635+02:00A mani libere<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHD5DACh_myl9ZSv5302F7wWSOmnDwzy1WTK1cIxS4257MzVF5cQ-qeYQIehbOFTWe4AfZutZ28z-2rdRNPEZKNtexc8552b1_lLovFLMhKBTyGqvpIEbv275-8VwDEsDgijDsbjjBtLM-D5_oW6wrppTIu7SIGRsSrsZ4lXXy8vCV0CoM6H3HUNpBkg/s225/ED7AA2F6-CA3A-427C-90DF-B184BC7F6B38.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="225" data-original-width="224" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHD5DACh_myl9ZSv5302F7wWSOmnDwzy1WTK1cIxS4257MzVF5cQ-qeYQIehbOFTWe4AfZutZ28z-2rdRNPEZKNtexc8552b1_lLovFLMhKBTyGqvpIEbv275-8VwDEsDgijDsbjjBtLM-D5_oW6wrppTIu7SIGRsSrsZ4lXXy8vCV0CoM6H3HUNpBkg/s1600/ED7AA2F6-CA3A-427C-90DF-B184BC7F6B38.jpeg" width="224" /></a></div><p></p><div style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: times; font-size: medium;">A mani libere. Questa dev’essere l’estate (in realtà i quindici giorni, o il ponte di ferragosto, o la vacanza minima, o l’unico stacco da quei 350 giorni che ci mancano per finire l’anno) delle mani libere. Non voglio essere come quei ragazzini che nella sinistra hanno l’iPhone e nella destra lo spritz, con lo sguardo che non sa dove posarsi e se devono salutare una ragazza, peraltro anche lei con le mani impegnate, possono solamente alzare il mento o le spalle perché non hanno il coraggio di buttarsi alle spalle quel drink per stringerle a sé, e sospirargli all’orecchio un “stasera insieme?” È a mani libere che voglio passare questi giorni, per fare un saluto appunto, magari da lontano, per accendere una sigaretta, chiunque me lo chiedesse, con un Dupont d’argento, l’unico accendino degno di questo nome, per stringere una mano a chi nemmeno me la porge, per giocare una partita a carte, ordinando un cordino (troppi gin tonic questa primavera/estate passata), per leggere un menù usando gli occhiali e non la torcia dell’iPhone (a mani vuote, no?!?), per scrivere una cartolina chiedendo il francobollo alla posta (ormai li trovi solo lì dentro e ti guardano pure come un alieno), invece di un sms, o addirittura una lettera con la carta intestata dell’albergo, invece di un vocale su whatsapp, immaginando lo stupore di chi riceve questo atto d’amore che potrebbe anche essere male interpretato e che al massimo potrebbe ricevere un sms stupito di risposta, ma che magari verrebbe apprezzato tra vent’anni, quando a tutti loro verrà da piangere a dirotto per qualsiasi sguardo affettuoso gli venga rivolto: è lì, in quel momento che si ricorderanno di questo bellissimo gesto chiuso in un cassetto, cercandolo con violenza. Sto lavorando per tutto questo, a mani libere! È a mani libere che voglio cadere in avanti, se proprio devo, per evitare di fratturarmi qualsiasi cosa, mi servono libere per scrivere questi pensierini, per poter leggere un giornale di carta e non sull’iPad anche se è comodissimo (e attenzione: se riprendi in mano il “cartaceo” come per incanto non ti servono gli occhiali, come è possibile???). A mani libere, la testa mi gira meglio e può cominciare a fare quel viaggio che non ho mai avuto il coraggio di fare, quello che non conosce confini se non quelli della paura e per una volta sarò in grado di capire finalmente qualcosa di questo viaggio, questa linea più o meno retta che stiamo percorrendo da tanto tempo ormai e che ogni tanto, fortunatamente prevede una sosta, a patto di avere le mani libere, anche per scrivere qualcosa e non dimenticarsela. Buone vacanze!</span></div>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-80144372852742664002021-11-02T17:46:00.001+01:002021-11-02T17:46:30.447+01:00If Keith Emerson 77<p style="text-align: center;"> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-aSIYx4r8i-s/YYFrBdUPzQI/AAAAAAAABD8/Kqazp14PL8krvVuECJornqLKLGQbN2X-ACLcBGAsYHQ/s496/Keith%2BEmerson.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="496" data-original-width="309" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-aSIYx4r8i-s/YYFrBdUPzQI/AAAAAAAABD8/Kqazp14PL8krvVuECJornqLKLGQbN2X-ACLcBGAsYHQ/s320/Keith%2BEmerson.jpg" width="199" /></a></div><p></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Da Beethoven a Keith Emerson senza passare dal via. Questo è stato il mio personale passaggio dalla musica che c’era a casa, alla musica scelta da me: no Beatles, no Stevie Wonder, no tutto il resto che è venuto dopo. Non ancora. Alle medie mi dicono “ma se ti piace così tanto la classica perché non ti senti <i>Pictures at an exhibition</i>” degli Emerson Lake & Palmer?”. E così è andata! Io che conoscevo solo l’arrangiamento magistrale che Ravel aveva regalato a Mussorgsky, che l’aveva scritta per piano solo, sento per la prima volta in assoluto che cosa si poteva fare di un pezzo come quello: sbrocco e mi compro tutto il resto diventando un mitomane di questo tastierista! Scoprendo per esempio che un pezzo come “Tank” era stato la sigla di una rubrica del TG della Rai dell’epoca. Grazie a Keith Emerson e alle sue citazioni scopro Prokovief, Copland, Rodrigo, Bartok, insomma il 900 che mai avrei immaginato avrebbe potuto piacermi così tanto. Tanto da portare Allegro Barbaro alla mia insegnante di piano per suonarlo, lei mi ride in faccia: “scordatelo”.<o:p></o:p></span></p><div><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">“Honky Tonk Train Blues” (la sigla di Odeon) dove Keith “inceneriva” quella tastiera di un piano verticale, come il mio, mi andai a comprare una catenella da tappo della vasca perché sulle riviste si diceva che quello era il trucco per avere quel tipico suono metallico da piano-saloon! (Marcello Avallone era il regista del video girato a Los Angeles contro un telo nero perché i controcampi erano stati già ripresi a Roma!). Andavo ancora a sentire i concerti a Santa Cecilia e allo storico critico musicale del Messaggero Teodoro Celli, gli portai il disco del Piano Concerto N.1 di Keith Emerson chiedendogli se lo conoscesse. Quel sorriso “pat-pat” di compatimento non lo dimenticherò mai più!<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Anni dopo Keith arriva a Roma, direi per la colonna sonora di “Inferno”, scopro che dorme al Raphael e imploro mia madre english speaking di chiamarlo in albergo per chiedergli un appuntamento per fargli un’intervista. Lui gentilissimo le risponde di chiamare il suo ufficio stampa. Niente: mi è rimasta la cassetta BASF 90 con l’audio delle telefonata tra loro due.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Riesco finalmente a conoscerlo negli studi della Safa Palatino (dove anni dopo avrei partecipato a Non è la Rai) e finalmente mi scatto una foto con lui e mi faccio firmare album e spartiti. Ma non riesco a fargli capire quanto fossi plagiato da lui. Vado all’Arena di Verona a sentirlo LIVE con quegli altri due, Greg Lake gonfio e stonato, Carl Palmer magro ma tonico, e lo vedo in piedi sull’hammond con i coltelli “No, Keith no! Ti fai male”<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Continuo a comprare i suoi dischi, uno con gli ELP e l’altro da solo dove dedica un pezzo al suo Steinway! <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><o:p><span style="font-family: georgia;"> </span></o:p></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Scrissi tutto questo prima che Keith si facesse male sul serio cinque anni fa, e oggi, che sarebbe stato il suo 77 compleanno, so solo che il mio primo mito, vero, in carne e ossa, sta correndo con quelle dita veloci su altre scale, verso l’infinito.</span><span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></p></div>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-17073678778514953142021-10-14T17:32:00.009+02:002021-10-14T17:40:47.226+02:00Compagnie aeree<p><span style="font-family: georgia;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-MRnJz0nqYMg/YWhO1xoKHdI/AAAAAAAABDs/VNieEFE4mhIHeVTu1VO202GxMCSIxlJFwCLcBGAsYHQ/s1646/IMG_6720.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1076" data-original-width="1646" height="209" src="https://1.bp.blogspot.com/-MRnJz0nqYMg/YWhO1xoKHdI/AAAAAAAABDs/VNieEFE4mhIHeVTu1VO202GxMCSIxlJFwCLcBGAsYHQ/s320/IMG_6720.jpg" width="320" /></a></div><br /><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><br /></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: medium;">Il primo lavoro di mia madre è stato alla LAI, Linee Aeree Italiane, è rimasta lì qualche anno, prima che venisse chiamata Alitalia. L'ufficio si trovava in Via Barberini, in un palazzetto accanto al Cinema Barberini e accanto alla Compagnia di Navigazione Marittima "Italia" (proprietaria della motonave Andrea Doria, il precedente e unico modo di andare a New York, via mare, 10 giorni di viaggio). Mia madre era stata assunta perché parlava tre lingue oltre all'italiano educato degli anni 50, era giovane, aveva 21 anni, e non le pareva vero di stare lontana da casa, e da sua madre, almeno 10 ore al giorno. Lavorava all'ufficio prenotazioni e riceveva chiamate da chi all'epoca faceva parte del jet-set senza nemmeno saperlo, un club esclusivo la cui tacita iscrizione era concessa dal semplice fatto che si potesse comperare un biglietto aereo andata e ritorno. Nel 1957, conosce mio padre, che lavorava sempre alla Lai, ma al "cargo". L'aeroporto era quello dell'Urbe sulla Salaria, poi è stato Ciampino, e il check-in si faceva a Via Barberini: i passeggeri "imbarcavano" i loro bagagli negli stessi pullman che li avrebbero poi portati direttamente all'aeroporto! Solo dopo le Olimpiadi del 1960 si cominciò a decollare dall'aeroporto Leonardo Da Vinci, a Fiumicino.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: medium;">Nel 1958 viene chiamata alla SAS, le linee aeree Scandinave, in Via Bissolati, che insieme a Via Veneto, era la strada della dolce vita, anche geograficamente: una volta passati davanti a Palazzo Margherita, sede dell'Ambasciata Americana, era inutile scendere a destra per il secondo tronco di Via Veneto. Sul curvone con un enorme platano al centro, c'erano solamente l'IRI, le banche e qualche albergo. Invece scendendo dritto per dritto trovavi appunto tutte le compagnie aeree. C'erano la British Airways, l'ELAL, la MEA, la PAN AM, la TWA, la stessa ALITALIA: nomi che ti facevano sentire "international". Anche il bar, si chiamava "California" e lì potevi fare qualche acchiappo: i turisti che andavano a verificare il biglietto nella compagnia di bandiera, non resistevano alla tentazione di un "italian cappuccino" al bar. Insomma andare a farsi un giro a Via Bissolati tra una vetrina e l'altra era come andarsi a fare un giro per il mondo in 80 vetrine. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: medium;">Dicevo, da quel momento, grazie alla SAS, a casa mia venivano oltre alle sue colleghe italiane, anche quelle svedesi, alte, bionde, occhi azzurri, non ci capivo più niente e senza volerlo hanno condizionato per sempre i miei gusti! Quando poi nel 1980 Calvin Klein disegnò le divise anche per chi non lavorava a bordo, vedere mia madre elegantissima a casa la mattina quando usciva mentre io ancora andavo al liceo era comunque una cosa...<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: medium;">Racconto tutto questo perché la sera a tavola gli argomenti erano su questo lavoro, mio padre nel frattempo aveva cambiato mille compagnie aeree, e i miei per non farsi capire da noi ragazzi cominciavano improvvisamente a parlare inglese o francese, quando la dicevano troppo grossa su qualche collega, e noi, petulanti, insistevamo per sapere quale fosse mai quel pettegolezzo cui non avevamo accesso... <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: medium;">Racconto tutto questo perché le colleghe italiane del booking office, mi hanno visto crescere, da neonato a ragazzo "ribelle" ("che vuoi farci Sandra: è l'età..."), regalandomi negli anni le fiabe sonore, le macchinine Legoland, qualche libro per ragazzi, qualche 45 giri "Vengo anch'io, no tu no", qualche felpa; mi hanno addirittura consolato quando i litigi a casa erano la regola, e tutto questo al telefono perché loro vivevano al telefono fisso dell'ufficio. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: medium;">Racconto tutto questo perché sono state madri tutte, tanto che la mia preferita, Birthe, danese di Copenhagen, l'ho chiamata mesi fa e nel suo italiano pazzesco mi ha detto "<i>Rigardo, ma... aspetta, mi verso un bighiere di vino, è troppo fforte la sopresa</i>". Non voglio sapere quanti anni ha, vive in un villaggio sulla costa della Danimarca, e oggi, che Alitalia fa il suo ultimo volo con quel nome pazzesco, ho pensato a tutte loro: le ragazze delle compagnie aeree...</span></p><div class="separator" style="clear: both; font-size: 14pt; text-align: center;"><br /><br /></div><br /><span style="font-size: medium;"><o:p></o:p></span><p></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-77651328209380232092021-01-26T09:04:00.004+01:002021-01-26T09:04:45.927+01:00Jump to it! Goodbye Aretha<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/EFTWYAmgxcM" width="320" youtube-src-id="EFTWYAmgxcM"></iframe></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Ero in una discoteca, una di quelle vere, in Francia, da ragazzo, quando ancora credevo che nelle discoteche chissà cosa dovesse mai succedere. Durante questo sabba di corpi che giudicavo alla ricerca della donna della mia vita, parte un pezzo: un coro nel silenzio, poi un giro di basso, ma non era proprio un giro, piuttosto direi un sentiero che mi portava senza saperlo verso una serie di yeah yeah, che anticipavano una voce pazzesca di una che avevo solo sentito dire “Capito?!”, ai Blues Brothers, vestita da cameriera, alla fine di “Think”. Torno a Roma, descrivo questo pezzo a Walter di Goody Music che mi dice:<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">- Ho capito: questo?<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">E mette su un disco mix della Arista a 33 giri con due versioni sul lato A di "Jump to it", scritto da un tale Marcus Miller, chi è? “un bassista!”. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Dissolvenza: 15 anni dopo, Spagna, Madrid, per lavoro, dopo cena si decide tristemente di andare in una discoteca, ma che ci andiamo a fare? Ormai siamo grandi, la donna della mia vita non esiste, non la troverò mai, pensavo, ma gli altri "dài, facciamo la seratona!". Vabbè, andiamo...<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Le donne che erano con noi vestite per l'occasione (!), noi no (figurati), entriamo in una discoteca vuota come un frigo con l'eco. Brividi lungo la schiena, "non c'è nessuno, andiamo via!" dico subito. "No, aspettiamo che si scaldi l'atmosfera...". Ma vi dico che nemmeno un microonde ci sarebbe riuscito. In una pista vuota, una tristezza senza fine, cominciamo a fare finta di divertirci, si balla, male, con noia malcelata, si era comunque fuori tempo massimo per tutta la questione, perché in discoteca ci vai a vent'anni e basta, non per lavoro con gente che non vedrai mai più. E dopo un po', aspettando questa atmosfera che tardava a riscaldarsi, finalmente gli umori cambiano: se all'ingresso c'era quell'euforia del facciamo tardi, adesso la prospettiva di andarsene a letto era più confortante di una vodka gelata.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Ma proprio mentre tutti si avvicinavano al guardaroba vicino all'uscita di quel tunnel della notte decido di rimanere APPOSTA "voglio proprio vedere che succede a ballare da solo in una pista enorme vuota". Che poteva succedere? Niente. E però... magic!<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Improvvisamente senza nessuno accanto in quel vuoto assoluto, con tutto lo spazio a disposizione e le luci che disegnavano il nulla nel nulla, mi sono sentito il re di quella discoteca perché avevo riconosciuto questo pezzo straordinario cantato dalla mia lady preferita, la regina del soul Aretha Franklin e su quella pista ero lì con lei. Solo il dj mi ha guardato da lontano, non era Walter, ma ci siamo capito lo stesso. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Aretha, ciao!<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;"> </span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">PS: in ricordo di Aretha Franklin, </span><span style="font-size: 12pt;">R.I.P. 16 agosto 2018</span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;"> </span></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-19285847105861638332021-01-25T14:00:00.001+01:002021-01-25T14:00:38.137+01:00Pongo 60<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: georgia; font-size: x-small;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/RQ0riSQ8-jY" width="320" youtube-src-id="RQ0riSQ8-jY"></iframe></span></div><span style="font-family: georgia; font-size: x-small;"><br /></span><p></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 12pt;">Oggi compie 60 anni La Carica dei 101! Sì, è uscito proprio il 25 gennaio al cinema, e Walt Disney non ci credeva nemmeno tanto (hai visto come alle volte anche i grandi sbagliano?!?). Alzi la mano chi da adulto, cioè da ieri, non l'ha rivisto almeno una volta! Ve la ricordate la prima scena? Pongo, il nostro Pongo, si sporge annoiato dalla finestra per vedere chi passa di sotto, facendo qualche pensiero sulle donne che passano insieme al loro cane. Non sbaglia un commento: ogni cane è esattamente la raffigurazione animale del suo padrone e quando finalmente appare quella ragazza, che dopo un po' scopriremo essere Anita, non può che essere accompagnata da una deliziosa Peggy, bella come lei e giustissima per Pongo! Via, si parte! Col naso Pongo sposta le lancette avanti (orologio meccanico: almeno uno in casa bisogna averlo) e trascina giù quel pianista da strapazzo di Rudy. Lo schema di seduzione è sempre lo stesso dalla notte dei tempi e Pongo lo sa di default, sono millenni che sa rimorchiare le ragazze e quindi tocca proprio a lui prendere l'iniziativa, se aspettiamo Rudy stiamo freschi: quello sta appresso alle note degli accordi (come me tra l'altro che in questi giorni sto impazzendo dietro ai 6, dico 6, bemolli in chiave di Secret Garden di Quincy Jones, ma questa è un'altra storia e ne parleremo tra 10 anni, quando l'avrò imparata, male). Insomma, Pongo fa di tutto per essere notato e soltanto dopo aver causato quel guaio della caduta nel laghetto, finalmente anche Peggy gli fa un sorriso visto che Anita si è già innamorata di Rudy quando le porge il fazzoletto bagnato per asciugarsi. Vi racconto tutto ciò perché è questo il modo più romantico che, da 60 anni ormai, si sogna per trovare la donna della tua vita: vuoi il dalmata, lo vuoi chiamare Pongo, vuoi quel laghetto, e vuoi pure trovare una ragazza che si metta a ridere perché ce l'hai fatta cadere dentro: "o la conosco così o niente!". Non c'è burraco, aperitivo, palestra, corso di lingue, di tango, di cucina che tenga (forse cucina sì, se le rovini un timballo buttandoci dentro il sugo della tua amatriciana e lei ci ride sopra, ma forse più tardi ti graffia la macchina con la chiave incidendo il suo numero di cellulare). Vuoi conoscerla e parlarle ovviamente delle "incredibili coincidenze tra la vostra storia e quella della "Carica", che lei giustamente conosce a memoria, anzi ti sa dire che il regista "Wolfgang Reitherman guarda caso ha poi diretto La spada nella roccia, Il libro della giungla e ovviamente Gli Aristogatti!". E solo dopo che avrete adottato 101 cuccioli nei canili di tutta Italia (senza trovarli: li ha requisiti tutti Crudelia Demon), ti sveglierai da questo sogno con questo brano in sottofondo, e finalmente dopo 60 anni capirai che "La carica dei 101" non era solo un film, ma addirittura un cartone animato! Però non si sa mai: adesso vado al canile!<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><o:p></o:p></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-15562897705044375542021-01-23T16:41:00.002+01:002021-01-23T16:45:20.784+01:00Body to body<p><span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/jOdpHQYjodc" width="320" youtube-src-id="jOdpHQYjodc"></iframe></div><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Quando uscivi di pomeriggio alle quattro con il motorino e l’aria sulla faccia che ti faceva sentire padrone del mondo, c'era il rito che aspettavi da una settimana: andare in discoteca, dove senz'altro avresti trovato quella fidanzata che avevano tutti eccetto te, e per non dare nell'occhio sembrando quello che ci va solo per questo motivo, ti eri portato un'amica che era rimasta senza passaggio per un motivo qualsiasi e aveva accettato volentieri a patto di fare la scena di entrare insieme e poi sciolti, ognuno per conto suo. Le cose sarebbero andate per conto loro ma la domenica pomeriggio vedevi una puntata di Discoring sulla Rai e notavi che la sigla era stata girata proprio al Much More di Roma: la tua discoteca, la tua, solo tua poteva essere perché nessuno la conosceva meglio di te e lunedì a scuola dicevi "Io ci sono stato! Forse quello col piumino ero io, forse quella ragazza bionda l’ho vista, mi sembra che ci ho ballato, forse, non mi ricordo c'era un sacco di gente...". Forse, forse, forse era tutto un forse, perché non c’era nemmeno il videoregistratore, e non potevi rivederti ma nessuno poteva smentirti, ti ricordi che c’era quel pullover di Benetton beige con i rombi, che era quello che aveva lei, e in quei giorni ti sembrava di vederlo dappertutto... <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Qual era stata la realtà di quel sabato pomeriggio? <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">La verità era che l'amica tua se ne era andata a pomiciare con uno più grande di te di soli due anni, ma che ti sembrava un uomo fatto, uno che prende le decisioni, uno che guida la macchina, uno che vive da solo, uno che lavora, spaccia, che è andato in galera, ha già visto tutto il mondo, ha la barba, ha gli occhiali, è pieno di soldi, ha tutte le donne del mondo, uno più vecchio di tuo padre, che è vecchio da quando tu hai un'ora di vita.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">E quindi tu eri rimasto solo a fare che? Beh, innanzitutto a renderti conto di dov'eri: era la discoteca con gli effetti speciali, e te ne andavi in galleria, era un ex cinema, a cercare di capire come funzionava il laser, ma quando ti eri accorto che un ragazzo tuo coetaneo lo pilotava con un aggeggio e già solo per questo era fichissimo e infatti stava con una bionda vicino che lo abbracciava, non ti rimaneva che andare dal deejay a far finta di chiedere che disco era e lui non te lo diceva o te lo diceva ma non si faceva capire. Quindi riscendevi giù in pista a cercare un varco tra tutti quelli che ballavano per muoverti da solo senza osare di posare lo sguardo su nessuno perché ti sentivi fuori da tutto, comunque. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Alla fine non ti rimaneva che chiedere la consumazione al bar e se il barman ti salutava un’inezia più cordialmente ti sembrava che fosse il tuo amico più caro e tu di conseguenza lo eri, forse perché capiva quanto eri sfigato, quasi come lui che ti serviva un drink... (un drink? una coca!)<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">poi tu chiedevi proprio una coca perché ti sembrava che chiedere "una coca" fosse più fico di chiedere "una coca cola" che era troppo infantile perché avevi visto che John Belushi in The Blues Brothers chiede “una coca!” e basta e quindi tu sei fico come lui a chiedere "una coca" e basta, senza aggiungere "cola".<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Alla fine della serata, che poi erano le sette o forse le sette e mezza di sera, potevi tornare a casa dai tuoi: <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">- Che hai fatto? <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">- Niente... <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">E per una volta era vero.</span><span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-2394303138535625202020-10-28T15:40:00.001+01:002020-10-28T15:40:30.001+01:00Ottobre<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-PkxV6IXAe7g/X5mCTrQLePI/AAAAAAAABAc/QOamb233FigX_zIzOj1Y7ztgcj2Tb8KPQCLcBGAsYHQ/s900/foliage-900x450.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="900" src="https://1.bp.blogspot.com/-PkxV6IXAe7g/X5mCTrQLePI/AAAAAAAABAc/QOamb233FigX_zIzOj1Y7ztgcj2Tb8KPQCLcBGAsYHQ/s320/foliage-900x450.jpg" width="320" /></a></div><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><br /></p><div style="text-align: left;">Ottobre, il mio mese, che amo tanto, dura poco eppure è tra quelli più lunghi: si lascia alle spalle il mese più bello dell'anno e ci prepara a quello più brutto e carico di tristi presagi. È per questo che ha quei raggi di sole tra le nuvole che scaldano appena appena, per farci capire che non dobbiamo abituarci a quel calduccio che arriva di ricordo in ricordo. A Roma ci siamo inventati l'ottobrata con i colori che hanno fatto la fortuna del foliage in tutto il mondo, da Central Park alla montagna con i suoi larici gialli e rossi struggenti. Siamo pronti ad andare in giro per castagne e fraschette inebriandoci del profumo di terra bagnata pregustando il ritorno in casa davanti a un fuoco acceso apposta per farci sognare di essere i protagonisti di una pubblicità anni 80. <br />Ma c'è qualcosa di reale in tutto questo: sapere di andare verso il buio dei prossimi mesi (ormai anno dopo anno) ci aiuta ad affrontare l'autunno vero che ci aspetta al varco, ed è per questo che ottobre dura un giorno in più: quelle 24 ore sono utili in tutti i sensi, fanno affiorare un pensiero, una riflessione, o meglio una pausa che ci aiuti a trovare la calma apparente che fa scaturire un ragionamento approfondito, fermarsi un attimo per gustare quello che di buono ci riserva ottobre, il mese profumato dell'anno, quell'intorpidimento che prelude al sonno, quel tirarsi su in automatico un plaid addosso, perché tra un po' "mi sa che sento freddo", quel sublime momento che anticipa il sonno che ci siamo meritati. Facciamoci prendere da questo stordimento, abbandoniamoci a lui, ci serve: dormiremo quel che serve e al risveglio, oplà... ne riparleremo! Ottobre, il mio mese preferito!</div><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><o:p></o:p></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"> <o:p></o:p></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><o:p></o:p></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-58526732055268098992020-10-26T11:52:00.001+01:002020-10-26T11:52:21.539+01:0040 dai 18<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-AIRo-CM9qlg/X5app2_bDsI/AAAAAAAABAQ/82sWmf1iM4kpzXwtyVL1YrHeNDQst_lzQCLcBGAsYHQ/s1000/105303.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="946" data-original-width="1000" src="https://1.bp.blogspot.com/-AIRo-CM9qlg/X5app2_bDsI/AAAAAAAABAQ/82sWmf1iM4kpzXwtyVL1YrHeNDQst_lzQCLcBGAsYHQ/s320/105303.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Roma 24-10-2020</span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Quindi oggi 40 anni fa varcavo la prima vera soglia della mia vita, o almeno quella legale: 18 anni! Cosa pensavo? Mamma mia, sono grande: ho 18 anni, posso guidare, posso votare, posso firmare le giustificazioni, posso andare in galera, posso fare tutto, ho 18 anni! E soprattutto festeggio, con chi? Con la ragazza dei miei sogni (che tale rimarrà, ma non lo sapevo) invitandola a cena nel ristorante più bello e più sbagliato di sempre per un G2 senza speranza.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Come andò quella sera potete leggerlo <a href="http://www.paginerossi.com/2009/10/buon-compleanno.html">qui</a> ma oggi mi chiedo: chi ero quella sera di 40 anni fa? Un ragazzo pieno di speranze, di sogni? No, quella sera, ma solo per quella, ero un tipetto che aveva davanti un baluardo da superare, un muro da scavalcare, una cena che doveva finire il più in fretta possibile perché già sapevo come sarebbe andata: quella ragazza sarebbe rimasta un sogno nonostante tutte le mie aspettative. <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Ma c'era questo guado da attraversare: beccarsi un "no" in uno dei giorni più importanti della mia vita, prendersi quel rifiuto in faccia e rimanere dritti in piedi, di marmo, come un faro della Bretagna sferzato dai venti del mare in tempesta per poi potermi dire: ce l'ho fatta, lei non mi vuole, ma io sono ancora in piedi, sono ancora qui, ho fatto 18 anni, domani comincia la corsa! <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">E che corsa! Quella sera dopo la cena, andammo al cinema a vedere "Saranno famosi" di Alan Parker, 1980 appunto, e in quel momento capii che quei ragazzi erano proprio i miei sogni di novello 18enne senza sapere che per i 40 anni successivi avrei cercato di realizzarli dandogli un nome e un cognome veri.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Stasera 40 anni dopo, festeggerò certamente, come sempre, ma tra i vari brindisi (dopo quello "alla salute": obbligatorio!) ce ne sarà uno a quel ragazzo di 40 anni fa che, senza un arco ma con tante frecce, è rimasto in piedi tutto questo tempo affrontando, non sapendo come, tutto quello che poi gli è capitato. Auguri!<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><o:p><span style="font-family: georgia;"> </span></o:p></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">PS: e comunque domani mattina mi guarderò, per la prima volta dopo 40 anni, da solo, il dvd di "Saranno famosi" per capire se i nostri sogni saranno poi stati famosi... ma forse mi metterò a piangere perché la risposta già la so: no!<span style="font-size: medium;"><o:p></o:p></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><o:p><span style="font-family: georgia;"> </span></o:p></p><p class="MsoNormal" style="font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;"> </span><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><o:p></o:p></span></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-59190682245059535282020-10-23T14:44:00.002+02:002020-10-23T14:44:44.549+02:00La prima Brooks non si scorda mai<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-JJoW_d6ZxC0/X5LP-Sn_jCI/AAAAAAAABAE/mDVELOg9niojT_tcROMC6HW6rchuR682wCLcBGAsYHQ/s300/s-l300.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="225" src="https://1.bp.blogspot.com/-JJoW_d6ZxC0/X5LP-Sn_jCI/AAAAAAAABAE/mDVELOg9niojT_tcROMC6HW6rchuR682wCLcBGAsYHQ/s0/s-l300.jpg" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Roma 9-7-2020<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">La prima Brooks non si scorda mai! A 16 anni quando si andava all'alba in motorino da Anzio, dove si era in vacanza, fino a Latina, col Ciao o con la Vespa, in due su quelle selle corte, al mercato americano dell'usato, per trovarne una sola, piccola, lisa, bucata, ma "americana vera", e urlare "è mia!" trattando le 1500 lire con quella bestia che ti poteva spezzare in due con il solo sguardo anche se aveva solo un anno più di noi.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">La sera stessa te la mettevi per andare a prendere un gelato da Mennella, al porto, e ti sentivi più fico di tutti, sperando che la biondina con il rossetto che ti faceva impazzire ti chiedesse "l'hai comprata oggi?" per dirle "no, è da un po' che ce l'ho, carina vero?". Quando tornavi dalle vacanze, la foto più bella era quella con la camicia celestina, non era un celeste qualsiasi, ero quello dei cieli di primavera, quello della tua Brooks. La prima. E le altre? Quelle a righe? Te le avevano regalate tornando dagli States, due: una blu e una rossa, le "pencil-stripes", e anche loro le riservavi per le occasioni speciali: una te la sei messa all'esame di maturità per sentirti come Robert Redford in "Come eravamo". Non eri biondo come lui, ma all'uscita dall'orale volavi urlando di gioia, per la morte del liceo e per il tuo primo vero giorno di vita, mentre lei ti sbuffava un po' fuori dalla cintura dei pantaloni. E poi quando l'armadio della tua camera è diventato il guardaroba di casa tua, a quelle Brooks hai dedicato i cassetti monomarca e hai cominciato a capire i nomi dei tessuti: "oxford", bella, "pesantona", la prendevi e la sentivi tra le tue mani, ti sentivi forte come lei, poi hai scoperto il "pin-point", leggera, elegante, quella dell'Avvocato, con i button-down slacciati, come l'Avvocato, "ma le punte del colletto vanno in su" e tu le inamidi, come l'Avvocato, devi essere come l'Avvocato! Poi hai cambiato taglia, da 16-34 sei passato a 16,1/2-34, ancora non hai capito come, ma il collo ti si è gonfiato (nel frattempo ti stavi sposando) e il colletto non si chiudeva più. Poi sono cambiati i tagli, dalle regular-fit (che erano larghe come sacchi) sei passato alle slim-fit (ti stavi separando e ti sei dimagrito). Poi sono uscite le non-iron. E non ci hai capito più niente. Come "non iron?", "Non le deve stirare", "ma che dice? Io le voglio stirare!". Ne avevi comprate tre, te ne sei accorto tardi e le hai regalate a qualcuno perché non te le volevi mettere: "sono dure". Chiedevi ai tuoi amici, quelli con i quali andavi al mercato di Latina "ma ti piacciono?", "No!" ti dicevano tutti, e hai scoperto che il filo prima di essere tessuto era imbibito di amido e anche se l'avessi lavato a 90°, non l’avresti piegato. Per anni hai cercato le "iron" tenendoti care le vecchie. Quelle che non avevi ancora regalato a tuo figlio. Che ti ricorda tanto te davanti a Mennella 30 anni fa. Chiude Brooks Brothers? Per noi rimane aperto. Comunque. Aspettando le "iron". Hai visto mai che si salva? </span></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-9267702067589645412020-10-23T14:37:00.001+02:002020-10-23T14:37:38.981+02:00Silenzio, si gira<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-SYBU5g9KJuo/X5LNzktiFxI/AAAAAAAAA_0/jabKxlOhx1Ar--wlEWU7KBE7gQw1olk6wCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_4049.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-SYBU5g9KJuo/X5LNzktiFxI/AAAAAAAAA_0/jabKxlOhx1Ar--wlEWU7KBE7gQw1olk6wCLcBGAsYHQ/s320/IMG_4049.jpg" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: left;"><span style="font-family: georgia;">Roma 1-6-2020<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: left;"><span style="font-family: georgia;">Silenzio, si gira. E io ho girato, in silenzio. Un silenzio che non conoscevo quando ero troppo giovane e nelle orecchie avevo la voce di mia nonna che mi diceva "quanto era bella Roma ai miei tempi!". Ho girato per quel tridente che oggi in una notte è passato dall'inverno all'estate, e che a marzo in una notte è diventato una macchina del tempo, portandomi in quegli anni di cui parlava mia nonna. In silenzio ho girato con una borsa rossa, e andavo dal panettiere, dove c'era la fila di qualche romano, che salutavo senza conoscere, cui chiedevo <i>come va</i>, che mi rispondeva <i>e come deve andare</i>. Andavo dal pizzicagnolo di Monte d'Oro a parlare di un pecorino romano, se era veramente del Lazio; da Gabriella a prendere una banana, una mela, una pera, tanto sto da solo; da Fabio il ferramenta in Via dell'Arancio per chiedere prima come stava la madre e poi per capire come mai la moka non funzionava più per colpa di una guarnizione, o della valvola o del filtro a imbuto, e ricomprare tutti i pezzi separatamente giorno per giorno, ma quella nuova manco morto. Andavo da Annibale, il macellaio, per farmi le foto in mezzo a Via Ripetta dicendogli <i>quanto è bella Roma</i>mentre mi sorrideva triste nel silenzio ovattato dell'infanzia di mia nonna. E tornando a casa con la borsa rossa della spesa facevo una telefonata a Giovanni, ascoltando le sue risposte ma soprattutto la mia voce che rimbalzava sui muri delle vie. <i>Ma dove sei? A Via Condotti</i> e gli mandavo una foto con il fondale della scalinata di Trinità dei Monti, e gliela mandavo in bianco e nero, apposta, come le cartoline di mia nonna. Incontravo i vigili della Municipale, come ancora li chiamo, li riconoscevo e li salutavo, e loro mi rispondevano perché non stavano dietro agli ambulanti, ai finti suonatori con le casse acustiche alimentate: avevano tempo di rispondere a un saluto nel silenzio del secolo scorso. Lo stesso che mi aspettava quando tornavo a casa, nel cortile, senza i trolley che strusciano, l'ascensore stesso ringraziava, finalmente sempre al piano terra e non in giro a far scendere e salire i turisti dei B&B, e quando si muoveva capivo che c'erano i vicini, <i>ah sono tornati</i>, e gli facevo un saluto dalle scale, <i>ti serve niente, no grazie, nel caso dimmelo.</i><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: left;"><span style="font-family: georgia;">Sono riuscito a sentire la pioggia, e pure a goderne: <i>meno male, almeno piove</i>, così in testa sembrava più giusto, più normale, <i>non c'è nessuno perché piove</i>, perché quando era bello, sempre, ho sentito che in Via del Corso non c'erano solo i gabbiani e le rondini, ma pure i merli e una farfalla, gialla, una sola, ma era gialla e un germano reale in Via d'Ascanio da solo pure lui, allegro, mentre la sua ragazza si stava facendo un bagnetto alla Barcaccia senza i tifosi del Feyenoord. Sulla bici ho sentito il rumore, bello come un suono, della catena che scorreva sulla corona. E un pomeriggio sono riuscito a vedere la Fontana di Trevi senza schiene davanti. E oggi che finalmente i romani si stanno riprendendo il tridente, a mia nonna che mi diceva <i>Riccardo, non sai quanto era bella Roma ai tempi miei</i>, potrei rispondere <i>nonna, adesso lo so!</i></span><span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;"><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><br /></p>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-51194533567415226182020-10-23T14:15:00.004+02:002020-10-23T14:39:55.671+02:00Scapoli & Nubili<p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-size: 14pt;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-9zbvLTOpE0Y/X5LLgzgnhtI/AAAAAAAAA_k/Glzugf0VGIANGG2XBgWbXA4AAUdttfHHACLcBGAsYHQ/s600/jolly.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-9zbvLTOpE0Y/X5LLgzgnhtI/AAAAAAAAA_k/Glzugf0VGIANGG2XBgWbXA4AAUdttfHHACLcBGAsYHQ/s320/jolly.jpg" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: georgia;">Roma 25-3-2020</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><span style="font-family: georgia;">Single: scapoli, nubili. Siamo noi. Siamo qui. E non molliamo: siamo abituati a stare in "quarantena", abbiamo una capacità di resistenza autonoma di default, a differenza di chi invece è abituato a essere supportato da una vita. E in questa tragica situazione c'è un aspetto positivo: non c'è alcun senso di colpa nell'apprezzare tutto questo tempo a disposizione.</span></div><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;"><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;"></span></p><div class="separator" style="clear: both;"><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Noi, da soli, sappiamo organizzarci benissimo con la spesa per uno (raramente per due), sappiamo cucinare, sporzioniamo, congeliamo, riscaldiamo, sappiamo pulire casa, fare la lavatrice, la lavastoviglie, ma siamo anche connessi meravigliosamente, tutti i nostri dispositivi elettronici funzionano alla perfezione, e sono tutti per noi, in esclusiva, nessuno li tocca, solo noi! E il tempo, che comunque scorre sempre velocemente, in questi giorni è ancora più libero, vola! <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Noi siamo quelli che tutto l'anno, in tempo di pace, organizzano tutto per tutti gli altri in coppia: cene, serate, cinema, teatri, e ci chiedono qualsiasi cosa: "Li vai a prendere tu i biglietti al cinema? Ché noi abbiamo da fare", "Prenoti tu il ristorante? A te non dicono di no". Siamo dei Jolly Joker tutto fare perché non abbiamo famiglia, abbiamo solo noi stessi a cui pensare e quindi abbiamo più tempo e, diciamo la verità, anzi la dicano loro, "ci divertiamo di più" perché "possiamo fare come ci pare".<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Ma per una volta che invece 'a livella della quarantena, come si è detto, ci accomuna tutti, non ci si fila nessuno. E adesso che non possiamo e dobbiamo organizzare tutto l'intrattenimento, adesso che non dobbiamo più raccogliere sfoghi e confidenze, nessuno ci chiede come stiamo perché loro lo sanno che stiamo bene, e basta!<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">Ci fosse una telefonata da parte di amici con famiglia, no. Improvvisamente hanno troppo da fare per gestire l'emergenza: la colf non può venire: "E mo' chi pulisce? E 'mo chi fa la spesa? E mo' chi lo porta il cane fuori all'alba?". Devono prendere i biglietti per far tornare i figli dall'estero, o da Milano, o da dove stanno 'sti figli a studiare, che poi quando tornano a casa si chiudono in camera e non gli parlano, o se gli parlano lo fanno con l'inglese perfetto che gli è costato ventimila euro all'anno e non li capiscono, e se escono dalla camera loro è per mangiare o perché è andata via la luce e quindi è caduto il wi-fi. Devono mettere ogni situazione in sicurezza: loro stessi prima di tutto, poi mogli, figli, madri, nonne, fratelli, sorelle, cognati, coppie amiche della coppia, e solo allora, quando tutto sembra di nuovo sotto controllo, anche se non lo è per niente, finalmente fanno uno squillo all'amico/a single, e non ti chiedono nemmeno come stai, se per una volta hai bisogno di qualcosa: per loro è impossibile non esordire con un "Ahò, te stai a diverti', eh? Beato te che stai da solo!". Ci invidiano e basta. Perché della loro famiglia non ne possono più! Sì, ci saranno molte nascite nel prossimo dicembre, ma anche molti divorzi, o almeno case separate...<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;">E allora vuol dire che abbiamo fatto bene a rimanere single perché diceva Cechov "se temete la solitudine, non sposatevi". Auguri!</span></p><p class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><span style="font-family: georgia;"> <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 14pt; margin: 0cm 0cm 0.0001pt;"><br /></p></div>Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-25510664548339981702016-09-27T17:08:00.001+02:002016-09-27T17:08:46.529+02:00Le ore di nessuno<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-Ewz-eKGTWF4/V-qLAHRFGmI/AAAAAAAAA54/YOR5gZ50rl4EMku_LtFGgT6xmb53nc1jgCLcB/s1600/Orologio_senza_lancette.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="314" src="https://3.bp.blogspot.com/-Ewz-eKGTWF4/V-qLAHRFGmI/AAAAAAAAA54/YOR5gZ50rl4EMku_LtFGgT6xmb53nc1jgCLcB/s320/Orologio_senza_lancette.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
Le ore di nessuno sono quelle del mattino presto o della
notte tardi.</div>
<div class="MsoNormal">
Il momento di trepidazione scatta quando ci si scaraventa
sul letto dopo il venerdì notte passato in città in<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>giro a far finta che nella nostra vita tutto vada a
meraviglia. Ed ecco che sorge il sole del sabato mattina, ci si alza senza la
sveglia e guarda caso, proprio oggi che non hai obblighi contrattuali, alle 6
sei un grillo “proprio oggi che potevo dormi’!”. Un frigo spalancato ti
abbaglia con il suo neon mentre prendi il barattolo del caffè che stamattina ti
preparerai con una lentezza magistrale. Te lo prendi un biscotto? No, sei uno
straccio e vuoi che nel tuo stomaco sciacqui solo quella pozione magica, capace
di farti capire che hai tutto il giorno per fare quello che ti pare, perché
durante le<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ore di nessuno non deve
succedere niente, se non quello che hai deciso tu. Non apri le imposte, ti è
bastata la luce del frigo, ma senti che dalle persiane chiuse filtra l’aria
fresca del mattino, vuoi uscire di casa per fare un gesto che il computer ti ha
tolto: comprare il giornale di carta. E andare al bar con la sua luce calda
accogliente e quel profumo di strutto: guarda come te lo prendi un altro caffè,
e pure il cornetto adesso te lo mangi, eh? Ma sei nell’ora di nessuno, la tua,
e fai quello che ti pare.</div>
<div class="MsoNormal">
Stamattina ti senti un altro, ti senti padrone del tuo
tempo, puoi fare tutto quello che vuoi e mentre leggi il giornale pensi a tutte
le magnifiche opzioni che ti si prospettano, te ne vengono in mente mille ma
nessuna ti convince fino in fondo. Quello che hai bene chiaro in mente è quello
che non vuoi fare: organizzare. Quindi no Ikea, no mare, no corsa al parco, no
niente. Adesso leggi e basta poi vediamo, ma la testa non si ferma, non le pare
vero di stare su una pista vuota dell’autodromo del tuo sabato, ma oggi quella
testa deve capire che c’è solo una strada da percorrere, si chiama Via Te
Stesso, non ti sembra possibile, ma il cartello proprio questo recita. Il caffè
è finito, è il secondo della giornata, ne ordini un terzo, mentre ti accorgi
che il bar si sta affollando (pure di sabato) ma dalle facce di quella gente
passa quell’espressione che ti fa capire che anche loro hanno passato la tua
stessa serata di ieri. </div>
<div class="MsoNormal">
Invece nella notte, le ore di nessuno hanno un altro suono,
quello del silenzio degli altri. Non devi difenderti da niente e se non da
quella testa che al buio vede meno. Non trovi quel sonno di cui stanotte non
senti la mancanza e giri per casa lentamente, e nulla di quello che vedi sembra
avere un senso, anzi: pensi che tutto quello che hai non ti serve più. Pensi
che una casa vuota e bianca è tutto quello di cui hai bisogno. Ma solo del
tempo che stanotte è tuo e ci faccio quello che voglio.</div>
<div class="MsoNormal">
Ma mentre rifletti, ti ritrovi in bagno con una chiave
inglese per cambiare il filtro frangi-getto del lavandino del tuo bagno. Non
guardarti allo specchio, non devi renderne conto nemmeno a lui, nell’ora di
nessuno.</div>
<div class="MsoNormal">
La tua.</div>
Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-35631874733413646482016-09-20T16:52:00.000+02:002016-09-20T16:52:45.462+02:00Regali che fanno la differenza<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-tFXBQHvTMgQ/V-FM-7zhICI/AAAAAAAAA5o/CHO1RwG2ax09wyELb4p3UXV5AhwMQxyZwCLcB/s1600/il_570xN.528476227_aogu.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-tFXBQHvTMgQ/V-FM-7zhICI/AAAAAAAAA5o/CHO1RwG2ax09wyELb4p3UXV5AhwMQxyZwCLcB/s320/il_570xN.528476227_aogu.jpg" width="313" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
C’è stato un regalo che nella nostra vita ha fatto la
differenza. Si tratta del primo che abbiamo ricevuto a Natale, non da quel
buffone di Babbo Natale, ma da quello vero, cioè i nostri genitori. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
Pochi giorni prima c’era stato un 8 dicembre diverso dagli
altri: mentre si faceva l’albero, da quelle bocche dei nostri genitori, è
uscita per la prima volta la frase rivolta a noi figli: </div>
<div class="MsoNormal">
- Allora? Che vuoi per Natale?... - <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Noi, zitti zitti, abbiamo pensato “Ahà!
Allora è vero che non esiste Babbo Natale, eh?”. Però abbiamo capito
all’istante che non conveniva fare tante polemiche, ma sparare subito la
richiesta congrua: un assegno in bianco! No, scherzo: bisognava fare<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una richiesta che facesse loro credere
che si era effettivamente “cresciuti” nell’ultimo anno tanto da aver meritato
quell’Ansa ufficiale: “Babbo Natale non esiste”. Scelto il regalo, bisognava
sapere tutto: dove si comprava, nome del negozio, orario, se il giocattolo era
disponibile (perché poi alla fine era sempre e comunque un giocattolo), il
colore, il prezzo, il codice fiscale del proprietario, il nome dei commessi,
soprattutto quello più simpatico che avrebbe potuto assicurare uno sconto del
5% se l’acquisto fosse avvenuto entro il 15 dicembre. Insomma tutto. Fornite
queste <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>informazioni seguiva, da
parte dei veri Babbi Natale, un sorriso tra l’ironico e il sarcastico che comunque
ci faceva stare con il fiato sospeso fino alle sera del 24. E finalmente sotto
l’albero, spuntava inconfondibile il pacco del nostro <i style="mso-bidi-font-style: normal;">primo</i> regalo! Nel mio caso: un proiettore bipasso (8 mm e
Super8mm). Era il mitico TONDO della Polistil, un oggetto di una bellezza
stupefacente tra le mani di un bambino di 10 anni, un oggetto di design firmato
da Lurani Cernuschi, ma comunque un giocattolo, tanto che la lampada era una
Osram da 12 volt, (quando si fulminava la ricompravo dagli autoricambi perché
era la stessa lampadina della luce di posizione della Fiat 500!) </div>
<div class="MsoNormal">
Perché questo regalo ha fatto la differenza tra tutti quegli
altri che avevo ricevuto? Perché non era figlio del pensiero genitoriale
sempre<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>accompagnato dal dubbio
“questo potrebbe piacergli?”, e non era il regalo imposto “questo va bene
perché lo farà crescere”. Ma semplicemente perché quel proiettore era frutto di
un desiderio: il mio! Piaceva a me da prima di averlo, l’avevo visto su
Topolino, e mi piaceva. Basta. Lo voglio. Babbo Natale non esiste. </div>
<div class="MsoNormal">
Certo che se poi i miei, durante l’acquisto, si fossero
anche chiesti “come mai nostro figlio vuole un proiettore e non un razzo, un
calcio balilla, una bici, un cavallo, un pezzo d’uranio?”, forse sarebbe stato
meglio, noo?</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
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<div class="MsoNormal">
PS: Esiste poi un altro regalo che fa la differenza. È il
secondo. Si tratta di una veretta di diamanti by Bvlgari. Ma ne parliamo
un’altra volta.</div>
Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-85200670982499265302016-09-19T17:22:00.002+02:002016-09-19T17:22:20.304+02:00Chi ti conosce bene<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-gZH3eIc2Bps/V-ACkQFuYNI/AAAAAAAAA5Y/pCUTk3YZH9UtZJbYy8MbonsesG_gsTSsgCLcB/s1600/bancone-del-bar.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="221" src="https://1.bp.blogspot.com/-gZH3eIc2Bps/V-ACkQFuYNI/AAAAAAAAA5Y/pCUTk3YZH9UtZJbYy8MbonsesG_gsTSsgCLcB/s320/bancone-del-bar.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
Chi ti conosce poco in realtà è chi ti conosce meglio,
perché conosce la parte più vera di te, cioè la peggiore. </div>
<div class="MsoNormal">
Il buongiorno si vede dal mattino, no? E infatti lo scanner
della tua vera personalità comincia proprio dal primo caffè al bar sotto casa,
dove a volte nemmeno serve salutare se non con un sopracciglio, e i baristi al
bancone ti guardano e ti osservano (spesso senza nemmeno volerlo) tutti i
giorni della tua vita per 5 minuti e da quello che ordini hanno già capito
tutto di te. La persona che loro preferiscono è ovviamente quello che del “un
caffè” e basta, (comunque un “chiuso”), ma il resto della clientela è
costituito da persone che ordinano varianti a tutto: un caffè corto,
macchiato-caldo, macchiato-freddo, lungo, macchiato, corto-schiumato, cappuccino
con latte tiepido, con latte a temperatura ambiente, con latte freddo, col
cacao, oppure il peggiore di tutti: un bel cappuccino caldo! Perché, gli altri
sono brutti? Oppure, un caffè lungo in tazza grande con un po’ d’acqua calda a
parte...</div>
<div class="MsoNormal">
- Un americano! </div>
<div class="MsoNormal">
- No: non è americano, è all’americana!</div>
<div class="MsoNormal">
Il cornetto, mal cotto, cotto male (che è diverso), cotto
poco, liscio, vuoto, semplice, normale, pieno, de che? marmellata? quale?
albicocche o amarena? un danese, ma senza uvetta, ma senza canditi, ma con la
crema, ma poca, allora non lo prendere... insomma: come vuoi che ti giudichino?
Hanno in mano tutte le tue paranoie, le insicurezze di cui sono figlie, tutte
cose che con altri tieni nascoste per non fare brutte figure, ma al bar non ci
stai attento! Solo a un amico puoi chiedere di avere la pazienza di sopportare
tutti i tuoi difetti, è lui che può avere, dovrebbe avere, quell’indulgenza che
si riserva alle persone con le quali hai condiviso talmente tante cose che
ormai la confidenza è come quella che hai con te stesso. Quando avrai un
dispiacere troverai sempre quella spalla sulla quale appoggiarti, ma quando
avrai bisogno di un consiglio dove serve un po’ di distacco, l’amico è troppo
coinvolto e non può avere quella lucidità richiesta dalla questione che poni. È
troppo coinvolto, e quindi non vuole rischiare di addolorarti, magari per non
perderti come amico. </div>
<div class="MsoNormal">
Questo compito lo possono assolvere altri interlocutori, per
i quali non sei un amico, sei un cliente. Insomma il peso netto di una persona
lo si ricava da brevi, “brevi”, continuativi momenti vissuti insieme, con regolarità,
in modo da tessere un filo che li leghi per emettere una sentenza. Spesso
impietosa ma onesta. </div>
<div class="MsoNormal">
Ecco perché quando ti vuoi sposare una ragazza per la quale
hai perso la testa, fossi in te, la porterei prima al bar, farei ordinare tutto
a lei, farei decidere tutto a lei, ma poi guarderei lui. </div>
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<div class="MsoNormal">
Il barista.</div>
Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-60912575449244002292016-09-15T18:03:00.000+02:002016-09-15T18:03:11.083+02:00Una musica da eroi<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe width="320" height="266" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/Zj-fMI4iz_o/0.jpg" src="https://www.youtube.com/embed/Zj-fMI4iz_o?feature=player_embedded" frameborder="0" allowfullscreen></iframe></div>
<div class="MsoNormal">
Amico mio, c’è una domanda che voglio farti: cosa pensavi oggi,
30 anni fa, quando DOVEVI fare il militare (per altro nella tua città) e ogni
volta che uscivi dalla caserma pensavi che stavi buttando il tuo tempo? </div>
<div class="MsoNormal">
Avevi una macchina prestata da tuo padre che ti permetteva
di correre a casa, dalla tua ragazza? Cos’era che ti faceva imbestialire in
quel traffico delle sette di sera tornando a casa dopo il turno? So che facevi
un gioco incredibile tra cambio, frizione e freno che solo perché era una Golf
non si è sfondato tutto (o forse sì) e tu urlavi dall’abitacolo a chiunque non
capiva le tue traiettorie (e come poteva) frenando all’improvviso, sgommando di
rabbia per ribadire che tu ci avevi visto giusto, suonando il clacson per
rimproverare la disattenzione altrui ai tuoi disegni delle magnifiche
traiettorie che vedevi solo tu, solo per tornare il prima possibile a casa e
fare una doccia, la tua doccia, per lavarti via tutta quella giornata uguale
alle altre, e fare finta che nelle ultime 12 ore non fosse successo niente, e
indossare una faccia presentabile a quella tua ragazza che ti aspettava con gli
occhi ardenti e fare il maschio quando ti chiedeva come è andata oggi,
rispondendole tutto ok, non è successo niente, quando invece avevi sofferto
come un cane in mezzo a gente che non conoscevi, che con te non c’entrava
niente e che non avresti mai più rivisto nella tua vita. Anche se con loro
avevi passato il Natale, il Capodanno, la Pasqua e non con lei, e l’unico amico
tuo era quel telefono a gettoni in fondo al corridoio del corpo di guardia che
era diventato la tua casa per 12 ore al giorno (tu solo sai che quando la
cassetta dei gettoni era piena il telefono non funzionava più ed eri riuscito
ad avere il numero di casa di chi la svuotava per dirgli di venire il prima
possibile, perché tutti voi lì dentro eravate isolati dal resto del mondo). </div>
<div class="MsoNormal">
In quelle notti, quando tornavi infrangendo i limiti di
velocità perché pensavi solo a lei, c’era una musica che ti accompagnava e che
ti faceva sentire un eroe: era una musica triste, quella musica che si addice
agli eroi, e ti faceva pensare che tutto quello che di penoso stavi passando
non serviva a niente ed era solamente una perdita di tempo. Pensavi che nella
tua vita non ci sarebbero mai più stati momenti così, ti sbagliavi perché poi,
a ben vedere, nella tua vita questa musica e le sue suggestioni ti hanno sempre
accompagnato, ma quei momenti hanno cambiato faccia, nome, sono diversi, e oggi
si chiamano responsabilità. Tutte quelle che (forse anche giustamente) hai
scansato sgommando per tornare in quella casa, per quella doccia, tra quelle
braccia, ora ti sono di nuovo accanto, ora che hai trent’anni di più. </div>
<div class="MsoNormal">
Il giorno del congedo, ti sei ritrovato da solo, dopo 365
giorni, davanti all’armadietto che aveva custodito il tuo costume di scena di
un anno, la divisa l’hai regalata a quel caporale che sarebbe rimasto e la tua,
insieme a tutto il resto del corredo, gli avrebbe fatto comodo. Tu non avevi
gli strumenti per riflettere che stavi regalando un pezzo di te, perché quella
divisa era tessuta di te e dei tuoi pensieri e chissà che qualcosa del tuo
dolore e della rabbia non gli sia rimasta appiccicata addosso...</div>
<div class="MsoNormal">
Ma cosa importa? Oggi, ti piaccia o no, non sei più quel
ragazzo che combatte con una Golf nel traffico della tua città per non far
tardi a casa ma un uomo che sa che gli ostacoli che evitava, oggi sono i suoi
migliori amici. E quella musica da eroi glielo ricorda ogni volta che la sente.</div>
<div class="MsoNormal">
Nell’iPod.</div>
Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-65024593369098427632016-09-07T17:41:00.002+02:002016-09-07T17:41:32.726+02:00Il re dei tavoli<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-zITfeJFdSIQ/V9A0cARYMVI/AAAAAAAAA5I/fL5oydcFlFcCkRzpuDUSUIBrfs2b_RFDgCLcB/s1600/776_1229_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="254" src="https://3.bp.blogspot.com/-zITfeJFdSIQ/V9A0cARYMVI/AAAAAAAAA5I/fL5oydcFlFcCkRzpuDUSUIBrfs2b_RFDgCLcB/s320/776_1229_n.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
In casa c’è un tavolo diverso da tutti gli altri tavoli.
È il tavolo della cucina che non è un tavolo come gli altri.</div>
<div class="MsoNormal">
Non è quello della tua stanza, dove provavi a fare le
versioni in attesa della telefonata delle 19, quando il secondo della classe,
non il primo, ti dettava la versione, “ma solo per controllare, eh?”. Era una
telefonata veloce, al massimo venti minuti, perché poi alle 19.20 cominciava
Happy Days. </div>
<div class="MsoNormal">
Non è quello del salotto, il tavolo da pranzo, che nasce
importante già di suo, ha sempre un centro tavola, un vaso di fiori, un oggetto
prezioso, è un tavolo da domenica, e ha un nemico: il divano accanto dove fare
la pennica dopo il terzo giro di Gran Premio.</div>
<div class="MsoNormal">
Invece, il tavolo della cucina è un tavolo nudo,
spoglio, pronto per accogliere tutto. È un tavolo “tabula rasa”, è il foglio
bianco della tua vita. Si presta a<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>qualsiasi cosa, non solo ai preparativi del pranzo o della cena. Oltre
al fatto che ci facevi i compiti già alle elementari aiutato da chi ci stava stirando
i panni, quello era il tavolo dove hai giocato a tombola la sera di Natale,
quando si andava a casa di nonna, in mezzo alle bucce dei mandarini, delle
noci, ai bicchieri ormai appannati dall’unto del baccanale appena consumato.</div>
<div class="MsoNormal">
È il tavolo da lavoro, dove puoi farci di tutto, spesso
con l’attack, tanto se cade qualcosa: “che mi frega, è il tavolo della
cucina...” </div>
<div class="MsoNormal">
È un tavolo accogliente: a Elton John non pare vero di
accomodarcisi da quando ha una famiglia, tornando a casa la sera.</div>
<div class="MsoNormal">
Si può definire un tavolo davvero democratico, perché accetta
tutti i tipi di discussioni, futili e importanti, anche perché è quello delle
grandi decisioni, dei preventivi, dei documenti da leggere, sul quale puoi
aprire le mappe (sì, quelle di carta, non quelle di Google) per decidere il
viaggio della prossima estate, è il tavolo dei sogni, ma anche il tavolo delle
ammissioni di colpa. </div>
<div class="MsoNormal">
Senza dimenticare che questo tavolo si presta a tutto, anche
alla seduzione: ce la ricordiamo tutti la scena de “Il postino sempre due
volte” con Jack Nicholson e Jessica Lange che si rotolavano tra nuvole di
farina, ringhi, e urla soffocate.</div>
<div class="MsoNormal">
Quando devi fare qualcosa che lascia il segno, è a quel
tavolo che devi pensare. George Clooney, potendo scegliere tutte le location
possibili al mondo dove dichiararsi a quella che sarebbe poi diventata sua
moglie, dove le ha fatto trovare l’anello? Sul tavolo della cucina! </div>
<div class="MsoNormal">
Tra l’altro è il tavolo più pulito di casa, e ci tieni a
tenerlo pulito, perché sporco è peggio di un letto sfatto, tanto da essere
usato anche come tavolo operatorio per piccoli interventi chirurgici casalinghi
(tipo alcool e cerotti). <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
Personalmente è il tavolo dove tutto mi viene meglio, de se
non ci metto il Mac è solo perché ho paura che si sporchi con i fumi unti della
cucina appunto. Ma so che il giorno che lo facessi, mi verrebbe fuori il
capolavoro che non sarò mai capace di scrivere...</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
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<div class="MsoNormal">
PS: vuoi vedere che domani sposto il Mac?</div>
Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-84819695044340296392016-05-20T00:04:00.000+02:002016-05-20T00:05:12.447+02:00Cartoni animati<a href="http://1.bp.blogspot.com/-n-NsLJ8bEAY/Vz43-HUAXQI/AAAAAAAAA4w/bc4rv1lFw4wbhrgEuQEHubwh-jVFhtjpACK4B/s1600/02.jpg" imageanchor="1"><img border="0" height="244" src="https://1.bp.blogspot.com/-n-NsLJ8bEAY/Vz43-HUAXQI/AAAAAAAAA4w/bc4rv1lFw4wbhrgEuQEHubwh-jVFhtjpACK4B/s320/02.jpg" width="320" /></a><br />
<div class="MsoNormal">
Ho creduto ai cartoni animati.</div>
<div class="MsoNormal">
Ho creduto che una madre potesse essere uccisa dai
cacciatori e mio padre potesse essere talmente severo da farmi crescere troppo
in fretta per poter essere ancora un cerbiatto che giocava con un coniglio.</div>
<div class="MsoNormal">
Oppure che una madre potesse essere portata via perché
considerata pazza solo perché voleva proteggere il figlio da chi lo prendeva in
giro per le sue orecchie...</div>
<div class="MsoNormal">
Ho creduto allora che una pantera potesse insegnarti la vita
e metterti in guardia dai suoi pericoli, quei pericoli che pensavo potessero
arrivare solamente da quelli come quel serpente, e invece avevano altre facce,
diverse, ma che a volte credevo amiche... </div>
<div class="MsoNormal">
Ho creduto che i gatti fossero essere nemici dei topi per
poi scoprire che a volte proprio i topi possono dare una dritta a quei gatti
che non se l’aspetterebbero...<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
Ho creduto che un gatto del Colosseo potesse sposarsi con
una gattina dell’alta società anche se parlava un’altra lingua...</div>
<div class="MsoNormal">
Ho creduto che un cane potesse farmi trovare la donna della
mia vita facendomi fare un bagno solo perché lui voleva conoscere la “sua”
ragazza.</div>
<div class="MsoNormal">
Poi sono cresciuto e ho saputo che Walt Disney forse era una
spia dei “comunisti” in America.</div>
<div class="MsoNormal">
Ma poi ho visto anche il film su Trumbo, lo sceneggiatore
sotto falso nome<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di “Vacanze
Romane” vessato proprio dal maccartismo, e ho capito che Walt era uno sciocco e
forse anche un ignorante, anche se ha costruito una città che porta il suo nome
e che riesce a farmi sentire quel Peter Pan che non smetterò mai di essere mio
malgrado.</div>
<div class="MsoNormal">
Ma poi ho letto che Marcello Mastroianni (che ha fatto
quello che voleva tutta la vita) ha passato i suoi ultimi giorni guardando
questi cartoni animati in VHS, e ho capito che alla fin dei conti all’uomo
basta sentirsi raccontare una favola nei momenti brutti della vita per sentirsi
un po’ meglio...</div>
<div class="MsoNormal">
Del resto, quanto ci basta poco, no? Una cena tra amici (che
è sempre al primo posto, si sa); un lavoro che almeno per il 50 % assomigli a
quello che volevamo fare da piccoli, compreso il pompiere, che quando passa
ancora oggi non riesco a non guardarlo, mentre guida quel camion altissimo,
senza fargli un sorriso misto a rispetto per quel coraggio che non avrò mai; una
bella canzone da ballare con la ragazza che ti piace, un abbraccio con l’amico
con il quale hai litigato e magari lui nemmeno lo sa; una carezza alla tua ex
che ti ha fatto tanto soffrire tempo fa, troppo, e quindi basta! Quella sera
che “Stasera mi faccio una sigaretta... -<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Ma tu non fumi! - E che mi frega?”</div>
<div class="MsoNormal">
E poi, non ultima, la certezza che domani mattina ci faremo
un bel caffè presto e saremo pronti a ricominciare questa follia che tutti chiamiamo
vita.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
PS: ma stanotte, mentre sto scrivendo, voglio ringraziare i
miei amici di quando ero piccolo: Bambi, Tippete, Dumbo, Bagheera, Kaa, Pongo,
Peggy, Scat Cat, e pure Walt, perché due idee ce l’ha avute pure lui!</div>
Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-36355510421798902352016-03-01T19:11:00.003+01:002016-03-01T19:12:23.613+01:00Un pezzo sigla<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-xdKjmTEM4uU/VtXbK5Z0TcI/AAAAAAAAA4Y/S-e_Ge3WYiY/s1600/249652.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="212" src="https://2.bp.blogspot.com/-xdKjmTEM4uU/VtXbK5Z0TcI/AAAAAAAAA4Y/S-e_Ge3WYiY/s320/249652.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
I pezzi sigla sono quei pezzi (come li chiamo io “pezzi”, si
dovrebbe dire “brano”, ma “pezzo” mi piace di più, non so perché) che per un
motivo o per l’altro diventano la sigla di qualche momento della tua esistenza.
Non dipende dall’epoca in cui sono stati scritti, ma dal momento in cui sono
capitati nella tua vita. E assumono solo quel mood che stavi vivendo allora. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
Tra i tanti mi è tornato in mente questo di Christopher
Cross: “Ride like the wind” del 1979, anche se per noi era una novità del 1981!
Nel mio caso specifico questo pezzo è diventato senza volerlo la sigla della
notte dei miei “100 giorni”. Eravamo con quasi tutta la classe al Circeo, in
una casa di una nostra compagna che l’aveva aperta a marzo per l’occasione:
sacchi a pelo per tutti, divani, e i letti delle camere. Ovviamente tutti a
urlare “barbecue”, poi una volta arrivati si scopre che piove, tira vento e che
fa un freddo blu. Quindi pizza e via! (cosa avremmo combinato in quella
pizzeria?!). Poi si torna a casa, qualcuno (io) fa le foto con una Kodak
Instamatic Pocket, una camera oscura di plastica nera che aveva l’ardire di
chiamarsi macchina fotografica. Ma rivederle oggi quelle foto si piange
comunque. Qualcuno tira fuori le carte e si organizza un poker patetico. Le ore
passano, qualcuno sviene in branda, si rifanno gli stessi circoli della
ricreazione, gli amici con gli amici, qualcuno finalmente scopre che quel
compagno di classe che odiava dal primo giorno del ginnasio in fondo non era
poi così male.</div>
<div class="MsoNormal">
Poi l’alba, che fai non la vedi? Con il solito astronomo
secchione che dice “l’alba sul Tirreno non c’è, si vede sull’Adriatico...”. Ah
già! Vabbè ma che ci frega! Noi siamo giovani, noi dobbiamo fare la maturità! I
discorsi si allentano, i silenzi diventano più lunghi e gli sguardi si
cominciano a perdere davanti a quest’alba che non arriva. E a qualcuno viene
un’idea: prende una cassetta TDK e la mette in un radione, fregandosene di
quelli che dormono, e partono quegli accordi, Dom7, Sib, dove c’era innanzitutto
qualcosa di simile a un orgoglio celato (“ce la posso fare”, non proprio un “ce
la farò” compiuto), e una certa fatica da affrontare. Improvvisamente tutti
sentono qualcosa nelle orecchie e nell’animo. Ci sentiamo davanti alle nostre
vite ancora da vivere, ancora fresche, piene di illusioni, e qualche certezza,
che a pensarci bene, le certezze di un diciottenne sono le più tristi che si
possano avere. Ma eravamo tutti con il futuro davanti, tutti con quella forza
che non riavremo mai più nella nostra vita. Ed è proprio in quel momento che
comunque un po’ di luce arriva sulla spiaggia, non è l’alba del Tirreno, è la
nostra, e sotto c’è questo pezzo dal titolo profetico: ride like the wind. E per
un attimo immenso abbiamo pensato che nella nostra vita avremmo dovuto correre
come il vento. </div>
<div class="MsoNormal">
E basta.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
PS: sia chiaro poi che se la canzone nell’inglese di
Christopher Cross parla di uno in fuga dal Messico con i problemi a scavalcare
la frontiera e il suo passato, è un altro paio di maniche, e certo non ne
parliamo in questo blog.</div>
Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-11672990493745841912016-02-14T14:36:00.000+01:002016-02-14T14:39:14.059+01:00Sanremo stanotte<a href="http://2.bp.blogspot.com/-w9_-nNTWTs0/VsCCi89Y6SI/AAAAAAAAA4M/JWtVkUeUSVs/s1600/casino-sanremo.jpg" imageanchor="1"><img border="0" height="174" src="https://2.bp.blogspot.com/-w9_-nNTWTs0/VsCCi89Y6SI/AAAAAAAAA4M/JWtVkUeUSVs/s320/casino-sanremo.jpg" width="320" /></a><br />
La notte di Sanremo è cominciata non appena è finita la
serata. Nel secondo in cui si spengono le luci, dietro le quinte sono già
appostati i condor, i tecnici che le smontano con gli avvitatori già in moto
nella cintura come colt col grilletto alzato. Non riesci a dire grazie a tutti
che tutto il circo viene smontato e tu devi uscire perché adesso sono gli altri
che lavorano, ti senti improvvisamente come la notte del 6 gennaio, quando devi
smontare l’albero il prima possibile, perché domani è il 7 e fuori contesto quell’albero
diventa tristissimo. Ma la festa non è finita, continua in strada, nei ristoranti,
nei bar, nei locali, per festeggiare tutto, sei hai vinto, se hai perso, perché
“vuoi mettere? Sono stato in gara a Sanremo, se me l’avessero detto un anno fa
chi ci avrebbe creduto?”. I sorrisi, le pacche sulle spalle, le lacrime, le
foto, gli attestati di stima, le invidie, gli autografi, i complimenti, i
“grazie “davvero”, “sul serio”, “veramente” come se la semplice parola “grazie”
non bastasse più. Un’orgia che ti fa brillare gli occhi senza pensare al
momento che stai vivendo, lo vivi così come viene, perché un pensiero se riesce
a cominciare viene interrotto da un “Oh, vediamoci, eh?” - “Si dài, ti chiamo
domani” - “Ti aspetto!”. E intanto, forse, ti vedi da fuori, al rallenty, come
se tutto ti passasse accanto senza sfiorarti. Fino a quando non spunta
quell’alba, annunciata improvvisamente da quel cameriere che appena mezz’ora fa
ti ha portato l’ultima vodka e ora sta mettendo le sedie capovolte sopra i
tavoli per lavare per terra. Com’è possibile? Era lui sorridente poco fa ma
adesso ha un’altra faccia, dov’è finito quel sorriso di prima?<br />
<div class="MsoNormal">
In albergo torni solo per chiudere la valigia, e il saluto
del portiere di notte ti sembra un addio più che un arrivederci. Perché l’alba
dopo la festa è il momento verità nella vita di un uomo, è in quei momenti che
ti chiedi cosa rimane di tutti quei coriandoli per terra. Di tutto quello che
hai fatto finora.</div>
<div class="MsoNormal">
Rimane quel taxi che aspetti ben oltre i due minuti che ti
avevano detto. Non sai chi chiamare, perché tutti gli altri, quelli che fino a
poche ore fa hai chiamato pubblico, dormono. E mentre lo aspetti tutto quello
che vedi attorno assume un altro significato, tragico come un inverno che sta
per cominciare. Mentre osservi quel negozio di orologi usati con le luci spente,
non pensi all’occasione di comprarlo per fare un affare ma a chi è appartenuto
prima di te, che se lo sarà impegnato perché ieri notte al Casinò non è andata
bene. Ma quando arriva il taxi, senti che dici solo una cosa: “andiamo”. Perché
la festa è finita. </div>
<div class="MsoNormal">
Bisogna trovarne un’altra.</div>
<!--EndFragment-->Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-76199688805874999772016-02-12T17:46:00.001+01:002016-02-12T17:46:20.839+01:00Moka Express forever<a href="http://4.bp.blogspot.com/-xEjLHo8ZHCU/Vr4ME5ZUDoI/AAAAAAAAA38/0OH_pfnKhS4/s1600/250px-Moka_Express_Bialetti_2014_transaprent.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://4.bp.blogspot.com/-xEjLHo8ZHCU/Vr4ME5ZUDoI/AAAAAAAAA38/0OH_pfnKhS4/s400/250px-Moka_Express_Bialetti_2014_transaprent.png" /></a><span id="goog_1166519352"></span><span id="goog_1166519353"></span>Quando un vecchio industriale se ne va lasciando in eredità
a tutto il mondo un solo grande prodotto che ha il suo nome, senti che succede
come per la scomparsa di un attore o di un cantante che ti piaceva: per fortuna
rimangono i suoi cd o suoi dvd. Nel caso di Renato Bialetti, figlio
dell’inventore Alfonso, rimane “la” caffettiera per antonomasia: la Moka
Bialetti. Che rimane uno degli oggetti “eterni” della nostra vita e che,
pensateci bene, senz’altro ci sopravvivrà: io stesso uso ancora quella di mia nonna
che al mattino se ne beveva una intera da 6 DA SOLA inzuppandoci gli avanzi dei
panini all’olio che mi comprava.<br />
<div class="MsoNormal">
Fatto sta che la prima cosa che compri quando vai a vivere
da solo è proprio una caffettiera, perché vuoi mettere la soddisfazione di farti
il tuo primo caffè da solo, a casa tua? Ti sei alzato dal tuo letto, nella tua
camera da letto, vai in cucina e non c’è nessuno, la prendi, la apri, metti l’acqua
fino alla tacchetta, e comunque sotto la valvola, metti quell’imbuto, che lentamente
galleggiando scende giù e poi apri la tua busta di caffè che ti sei comprato
apposta, con un cucchiaino ce lo versi lentamente, a piccole dosi, e in quel
momento ti vengono tutti in mente i trucchi che vedevi fare a tua nonna (i tre
buchi, oppure lo schiacciava, oppure lo radeva a filo, oppure faceva una
collinetta, oppure “fai come ti pare”). Finalmente la chiudi, ti sembra di aver
costruito una casa, accendi il gas e la metti sopra. Via. TUTTO DA SOLO. Nel
frattempo prendi la tua tazza preferita, le fette biscottate Gentilini, la
marmellata all’albicocca, accendi la radio, fai questa cosa per la prima volta
forse, la radio in cucina, parliamo comunque di una Tivoli iPal, e attenzione:
pochi secondi ancora e senti uno dei più bei rumori della tua vita, un rumore così
bello da sembrare un suono. Si tratta del gorgoglio più musicale al mondo e lo
fa solo lei, LA TUA MOKA EXPRESS, così si chiama, marca Bialetti. Mentre ti
bevi quel caffè, il primo fatto da solo nella tua prima casa da solo, senza
nessuno in giro, (te lo dico subito che è il caffè più buono della tua vita,
non te lo scorderai mai più), ti sentirai come un re! E vorrai bene a quella
macchina che ti resisterà negli anni, perché tu ancora non lo sai, ma quella
macchina è composta di pezzi, che puoi sostituire se si rompono, perché quegli
oggetti erano costruiti in un modo che si potevano riparare. Non esisteva la
parola buttare all’epoca in cui Alfonso la inventava. Quindi un giorno ti
comprerai la chiave inglese (la numero 9) per sostituire la valvola, il manico,
il coperchio e anche solo quel pomellino ottagonale, l’imbuto, il filtro, la
guarnizione e quella caffettiera ricomincerà a farti quel caffè straordinario.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
Quindi grazie Alfonso e Renato: voi non ci siete più ma la
vostra moka sì, e io ve ne sarò sempre grato. Perché quella caffettiera mi ha
visto crescere!</div>
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Richttp://www.blogger.com/profile/04343339414801799416noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-8408879846216798940.post-43531795843545867692015-11-03T18:31:00.000+01:002015-11-03T18:31:46.311+01:00Ottobre<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-4LKINwJx1Q4/VjjvNfugqJI/AAAAAAAAA3o/0dKFIcTauRM/s1600/IMG_6382.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="239" src="http://2.bp.blogspot.com/-4LKINwJx1Q4/VjjvNfugqJI/AAAAAAAAA3o/0dKFIcTauRM/s320/IMG_6382.JPG" width="320" /></a></div>
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Ora che il mese più bello dell’anno, ottobre, è finito,
sento che nella piogge avvenute a Roma, c’è stata molta più verità di quel bugiardo
settembre precedente, più una seria propaggine di agosto che non un preludio
all’ottobrata che a noi romani piace tanto. A settembre ho sofferto: faceva
caldo, troppo, era umido, non ci sono stati quei diluvi improvvisi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>degli ultimi anni che ti facevano dire
“si è rotta l’estate”, non c’è stato nemmeno il “brusco” calo delle temperature
che tanto ci aspettavamo di sentire dai TG: non è stato brusco e nemmeno
“lieve”. Le temperature erano stazionarie. A ottobre, invece, negli ultimi
giorni, ho provato un breve primo brividino, subito mi sono detto “ecco, adesso
DEVO mettere il plaid sul copriletto”. Ma mi sono fatto una sudata che nemmeno
la tachipirina... Ho provato a farmi una tisana per convincermi che “Oh,
stasera mi sa che sento un po’ freschetto, casomai mi faccio una tisana che
così non mi ammalo!”. Una tazza rovente che mi ha ustionato! Ma insomma quando
arriva quest’autunno? Quando?</div>
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Dissolvenza...</div>
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Un libro giallo, un titolo azzurro: Fiordalisi. Letture
della scuola primaria. Vedo un bambino (me medesimo, chiaramente) con un
grembiule blu e quel libro dentro alla cartella, insieme alla pizza rossa
piegata in due dal panettiere (contro il mio desiderio, perché poi una fetta
diventava doppio pomodoro, l’altra era senza, e quando glielo dicevo lui mi
rispondeva “mangiala piegata”, e io gli dicevo, “ma così dura di meno” e lui mi
rispondeva “ciao, vattene.”). C’è anche un astuccio con 12 matite colorate,
marca Giotto, (il rosso era il primo a finire, il rosa l’ultimo). Pioveva sul
marciapiede, l’asfalto era lucido, davanti al cancello spalancato della scuola
che mi aspetta tutto aperto c’è il portiere della scuola che terrorizza tutti
“attenti a quegli ombrelli quando li chiudete, che vi vanno negli occhi!”. La
bidella invece aspetta queste furie sull’ingresso della scala (manco fosse il Chrysler
a New York) dove sfrecciano tutti per raggiungere i corridoi dove sono le
classi. Vicino a ogni porta l’appendiabiti lungo metri e metri, ha due pioli
per uno, quello più corto per il cappotto da mettere sotto e quello più lungo
sopra, per il cappello (!): erano di legno e probabilmente lo sono ancora. “E
l’ombrello bagnato dove lo metto? Sotto o sopra il capotto?”. Che dubbi
amletici, i primi grandi dubbi della vita di un bambino di sette anni! Quel
bambino coi calzoni corti che vola in classe felice ad attaccare i rotolini di
carta fatti con le stelle filanti su un foglio di carta Fabriano con
l’inevitabile Coccoina, o che nei prossimi giorni, quando non pioverà più,
dovrà raccogliere una foglia ingiallita caduta a terra da un platano, per
disegnarne la sagoma su uno strato di DAS, colorarlo a tempera quando si sarà
seccato, per poi farne un portacenere da regalare a Nonna che lo metterà sul
tavolino basso del salotto per dire alle sue amiche durante un tè “l’ha fatto
mio nipote!”.</div>
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Questo è Ottobre.</div>
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L’ho imparato sul libro delle elementari.</div>
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