martedì 28 luglio 2009

Incontri ravvicinati


Quando una bambina di 10 anni ti chiede all’improvviso “vediamo un film dei tuoi?”, il cuore ti si allarga:
- Sì, dài scegliamo insieme dai miei strordinari dvd...
- Cos’è questo “Incontri ravvicinati del III tipo”, che vuol dire?
- È un film del 1978, che ho visto al Cinema Barberini quando aveva ancora il lampadario nel foyer, la moquette rossa con i gigli neri, i velluti rossi sulle poltrone, una sola sala, con una sola galleria, il popcorn stantio dentro una busta di gomma leggermente meno dura dei popcorn stessi, il cornettaro con la cassetta di legno dell’immediato dopoguerra a tracolla con una cinghia delle tapparelle di casa, che vendeva anche le girelle di liquirizia, le arachidi dentro il loro guscio, come allo zoo, e le bustine di croccante, il biglietto era di carta velina con colori pastello, giallino, rosa, verdino, azzurrino, grigetto, e costava 3500 lire, la cassiera era sempre bionda e...
- Va bene, ho capito, lo vediamo?
- Sì, vediamolo, voglio proprio vedere un film di UFO 30 anni dopo!
Vedere la scena in cui Richard Dreyfuss che, cercando la strada su una mappa, fa segno alla vettura che lo segue di passare avanti, ma i fari si alzano facendoci capire che non sono quelli di un’automobile ma di un’astronave (!) e vedere quella bambina accanto a te che apre la bocca stupita, come noi 31 anni fa, è un’emozione che non ha prezzo...
Vedere la scena in cui Richard Dreyfuss che, spruzzandosi la schiuma sulla mano per farsi la barba, si accorge che somiglia a quella montagna che ha in testa ma che ancora non ha un nome e poi vederlo più tardi mentre si serve il purè, e sentire la voce di quella bambina accanto a te dire: “adesso ci fa la montagna...”, è un’emozione che non ha prezzo...
Vedere la scena in cui il bambino Barry, rapito dagli alieni un’ora prima, torna scodellato da quell’astronave amica, l’unica che vorremmo mai incontrare nella vita, e vedere il prescelto Richard Dreyfuss salirci sopra con le parole di Francois Truffaut nell’orecchio “Io la invidio!”, commuoversi ancora 31 anni dopo e sentirsi chiedere da quella bambina accanto a te sul divano:
- Perché piangi?
è un’emozione che non ha prezzo.
Per tutto il resto c’è Mastercard.

venerdì 24 luglio 2009

Cosa regalerò a mio figlio


È nato! È maschio! Allegria! Vado subito da Bvlgari? A comprare la crocetta (quella che Lauren Hutton in “American Gigolò” voleva regalare a Richard Gere) per cingere il collo della donna autrice dell’opera d’arte, mio figlio? No...
Allora vado da Cartier a comprare un classico “Trinity” tre ori intrecciati a me, tra l’altro, per tutta la vita? O la baguette in oro bianco da mettere al dito della donna che senza emettere un urlo (grazie all’epidurale) ha messo alla luce il futuro genio dell’universo, quello che ci toglierà da tutti i problemi del mondo? No...
Allora vado da Tiffany per un solitario che faccia rosicare tutte le infermiere del reparto, e che svetti subito sulla mano della donna che ha appena dimostrato al mondo intero di cosa è capace creando la cosa più assurda e magica del mondo, un figlio? No...
Io vado da Hausmann, e MI compro un orologio, per me, e basta! Me lo metto al polso e non me lo tolgo più: ogni volta che guarderò l’ora mi ricorderò del giorno in cui è nato mio figlio e quante ore sono passate!
Ne passeranno talmente tante da arrivare al 18esimo anno da quel giorno pazzesco: il quadrante sarà un po’ scolorito, il cinturino un po’ abbozzato, il vetro un po’ scalfito, ma quell’orologio continuerà a battere il tempo insieme a quel cuore giovane. E quando mio figlio mi dirà come festeggerà la sera il suo compleanno (magari con una ragazza dal sorriso indimenticabile) potrò dirgli sfilandomi quell’orologio “sii puntuale!”.
Lui sorriderà e mentre se lo metterà sul suo polso smagliante, dietro troverà una scritta con la data della sua nascita di 18 anni prima:
a mio figlio
tuo padre

lunedì 20 luglio 2009

Ho conosciuto il rock


Ho conosciuto il rock. Ha la bella faccia di un uomo che il 23 settembre di quest’anno gira la boa dei 60.
Un uomo che veste i jeans e una camicia come tutti vorrebbero portarli, che imbraccia una chitarra consunta dalla vita, nel modo in cui tutti vorrebbero strappare qualcosa dalla speranza.
Un uomo che da un nuovo significato alla parola sudore, che poi è quello di una volta, quello del succo della gioia della vita, dell’intelligenza, della performance.
Un uomo che esaudisce i desideri di 45000 persone volando tra mille cartelli per scegliere una song del suo jukebox, Hungry Heart!
Un uomo che nella stessa notte abbraccia un bambino di 4 anni, una ragazza di 20 e due vecchie di 80, con la stessa forza e tenerezza che solo un padre adulto e cosciente può avere nella stessa circostanza.
Un uomo che in tre ore di sorrisi e adrenalina può far credere ancora per una notte che l’amicizia esiste tra compagni di una vita e che lui saluta come tali alla fine di un copione scritto nella pietra ma leggero come una foglia che non cade mai a terra.
Un uomo che mi ha fatto credere per una notte che la speranza non è un’abitudine.
Lui riesce in tutto questo, e può farlo perché lui è il rock. E ieri finalmente l’ho vissuto.
Il suo nome è Bruce Springsteen.
Ma tutti lo chiamano Boss.

PS: thanks to my friend

giovedì 9 luglio 2009

Cosa ricorderò da vecchio


Oggi, nel pieno della nostra mezza età stiamo facendo una cosa importantissima senza rendercene conto, non sappiamo come funziona, ma noi stiamo preparando i ricordi che avremo da vecchi, li stiamo mettendo in un posto che non sappiamo di avere. Stiamo facendo tutto questo in automatico ed è un miracolo perché questi ricordi ci serviranno quando il futuro sarà solo un’incognita e avere questo serbatoio di riserva ci salverà da quel nulla nel quale potremmo precipitare, grazie alla benzina dei ricordi di momenti che non sembravano niente e invece erano pietre miliari:
quando ho comprato il mio primo paio di pantaloni senza mia madre che mi ordinava quali scegliere
quando per regalare un anello a una ragazza ho chiesto un prestito in banca
quando mia nonna mi disse “non guardarla, non ti girare, mai!”, e io non capivo a cosa si riferisse e solo anni dopo ci sono arrivato: quando mi sono chiuso dietro la porta della casa dov’ero cresciuto per traslocare in quella mia
quando una sera tornando ubriaco e solo a casa senza il letto riscaldato da nessuna ragazza ho capito che non ne potevo più di quelle serate
quando ho buttato giù tutte le cose che mi ero costruito per stare in piedi per ricominciare a camminare in equilibrio
quando mi sono svegliato in una camera d’albergo e allo specchio ho visto un uomo che non conoscevo ed ero io
quando ho perso una donna che amavo per un errore e
quando poi me ne sono reso conto capendo che aveva ragione lei
Oppure quando a un bambino che ti guardava non sei riuscito nemmeno a chiedergli “come ti chiami”
quando hai smesso finalmente di occuparti di te stesso e ti sei accorto che c’era una donna che ti guardava “così” da tempo, e quando le hai chiesto “vuoi sposarmi” lei ti ha detto il si che non hai più dimenticato
quando sei riuscito a fare pace con un amico che ti aveva tradito e
e quando poi lo hai fatto hai avuto paura di aver aspettato troppo
ma una mano sulla spalla di chi sapeva ti ha detto che non era tardi
quando perderai inevitabilmente i tuoi genitori e capirai che davanti non hai più nessuno e in prima fila davanti a tuo figlio ci sei solo tu.
Tutti questi momenti il nostro cervello li sta catalogando per farci dire un giorno, quando saremo vecchi “si, io ce l’ho fatta, e non ho rimpianti” perché quelli erano i momenti che senza saperlo
ci facevano diventare grandi, per farci diventare uomini.

martedì 7 luglio 2009

Dal dentista


Come molti sanno andare dal dentista è l’unico momento dove per una volta ascolti qualcuno che ti parla mentre tu non puoi rispondere visto che hai l’aspiratore in bocca. Per distrarti si fingono interessati alla tua vita e ti fanno domande ficcanti alle quali rispondi con dei vagiti.
Ma oggi non è andata così, per una banale visita di controllo (le migliori: non hai mai paura perché non sai a cosa puoi andare incontro) intuendo l’interrogatorio a senso unico, mentre ci dirigevamo verso l’antro operatorio con la poltrona più sexy e perversa del mondo, ho cominciato io a fargli delle domande tipo “che hai fatto questo periodo?” ma lui, abilissimo, mi ha risposto con un’altra domanda:
- Ti ho visto una sera da Fiorello...
- Sei venuto alla tenda? me potevi saluta’...
- No, che tenda? Su Sky!
- Si - rispondo innervosendomi mentre l’assistente ucraina mi metteva il bavaglio - era su Sky, adesso è finito, ma registravamo dal vivo nella tenda a Piazzale Clodio...
- A Piazzale Clodio? Ma quando?
- Ma come quando? Ma sei pazzo? Ma è dal 27 marzo che stiamo là...
- Ah bene, allora vengo una sera...
- Ma che dici? È finito dal 19 giugno, sempre tutto esaurito! Ne hanno parlato tutti i giornali, non sai niente, ma come vivi, che vita fai?
A quel punto, mi caccia in gola l’aspiratore, impedendomi di fatto di parlare, e con lo specillo e lo specchietto nel mio cavo orale comincia questo monologo:
- Che vita faccio? Stamattina sono andato dal commercialista alle 7.30, lo trovo già lì perché ovviamente di questo periodo stanno sempre a lavora’, poi sono venuto qui a studio, dove verrò anche dopodomani, invece domani e domani l’altro vado a Civita Castellana...
- Ma do’ sta? (un rantolo)
- Vicino Viterbo...
- Duddo gon la modo?
- Certo! Se no quando arrivo? L’altro giorno della settimana vado a Ostia, perche vedi, ormai non è più come una volta quando si aveva uno studio dove i pazienti venivano loro, oggi sei tu che te li devi cercare e quindi sono io che vado dove sono loro. All’ora di pranzo gioco un’oretta a tennis per muovermi un po’. La sera torno a casa alle 9, saluto i figli per il minuto che mi accordano, quindi solo per chiedergli come va, mangio con mia moglie, alle dieci e dieci, dieci e un quarto mi butto sul divano e guardo che c’è in tv, alle 11 sono già svenuto perché comunque domani mattina io mi alzo alle 6 e mezza, dimmi tu che devo fa’, se riesco a leggere i necrologi del Messaggero tra un paziente e l’altro è grasso che cola... Alzati, non ciài niente...
- Meno male!
- ... purtroppo!
- Allora quando torno?
- Torna quando te pare e salutami Fiorello!
La prossima volta non gli chiedo niente.

NB: lo specillo è quell’attrezzo che ti toglie un seme di kiwi in un secondo