lunedì 25 luglio 2011

Goodbye Shuttle


Leggere che lo Shuttle va in pensione dopo 30 anni, è una di quelle cose, che ti fa pensare che il tempo passa non solo per te ma anche per la Nasa. Se all’epoca avevo 18 anni e guardavo a quella specie di Jumbo che poteva atterrare dallo spazio proprio come un Fiumicino-Linate, come al futuro della mia vita (“un giorno ci andrò a farmi un giro, magari tra trent’anni!”) non oso pensare a quello che è passato in questi giorni nelle teste dei giovani ingegneri Nasa dell’epoca mentre, ormai adulti, hanno assistito dagli enormi monitor all’ultimo atterraggio dei loro sogni in attesa di essere ricevuti un giorno chissà dal Presidente degli Stati Uniti per sentire la sua voce profonda emettere il sigillo tombale: “good job!”. Pensateci: entrati giovani e scattanti come leopardi in quella sala controllo che ha fatto il giro del mondo in televisione, con sogni, speranze e illusioni, ne escono trent’anni dopo con la busta della liquidazione in mano e una pacca sulla spalla. Anche perché sanno che oggi lo spazio costa troppo, e l’unica cosa che alla Nasa possono ancora permettersi non sono più i loro sogni, ma quelli di qualcun altro, presentati su un iPad. Agli odierni pensionandi non rimane altro che fare la guida esperta per accompagnare i turisti in quello che fino a ieri era ancora il loro regno: la sala controllo di Houston. E allora? Oggi, mi piacerebbe sentirli parlare, come in un film americano, davanti a una birra del pub lì fuori, con i gomiti appoggiati al bancone, di tutti i successi e di tutti i problemi che avranno avuto in questi trent’anni: le risate generose e le strette di mano forti e calde, che si saranno scambiati insieme agli abbracci pieni di dolore quando gli equipaggi non tornavano più per colpa di una maiolica che si era staccata al ritorno nell’impatto bruciante con l’atmosfera. Mi piacerebbe sentirli riflettere sul senso della vita che posseggono ora, dopo le mille serate passate ad ascoltare gli astronauti raccontare la cosa più eclatante che sia dato oggi di compiere a un uomo: guardare il nostro pianeta da lontano e fargli una foto con una macchinetta qualsiasi. Mi piacerebbe sentire i racconti di questi ragazzi cresciuti che a loro volta ascoltavano le avventure degli uomini delle missioni Apollo, quando sulla luna si andava con un computer che aveva 32 K di memoria, l’equivalente oggi di 4 fogli di Word vuoti! Mi piacerebbe vedere sui loro occhi i trent’anni che hanno passato tra le stelle per scendere finalmente sulla terra, sapendo che andare su Marte in realtà non frega niente a nessuno, e che sulla luna, non fosse stato per Kennedy e le sue promesse a Marilyn dopo una notte d’amore (“Puoi chiedermi quello che vuoi, anche la luna!”), l’uomo non ci sarebbe mai andato. A questi uomini che stasera torneranno per sempre dai loro figli, ormai uomini anche loro, che in classe potevano dire “mio papà lavora alla Nasa!”, mi piacerebbe offrire questa birra al pub, per trattenermi alla cassa e non vederli all’uscita del bar guardare in alto nel cielo, piangendo.

lunedì 18 luglio 2011

La preparazione delle valigie


Non ci sarà certo tempo utile per rivedersi “Tra le nuvole” con George Clooney e la stupenda Vera Farmiga, viaggiatori del mondo per lavoro, come stanno a proprio agio loro in un aeroporto nemmeno un’hostess, per imparare il metodo di riempimento della valigia per le vacanze. È già troppo tardi e l’incubo della valigia che non si chiude è un generatore d’ansia di prima categoria. Se si è in famiglia è più facile: la moglie pensa a tutto lei sia per i bambini (compresi maschera, boccaglio, pinne, braccioli, scarponi, piccozze, caschi, senza dimenticare la Fargan) che per il marito che non deve fare altro che sistemare, come sempre, le cose “legali”: i biglietti, i passaporti, i soldi, le chiavi della macchina, della casa, della cantina, le carte di credito, i traveller’s cheque (scherzo, ve li ricordate? Facevano venire la paura di essere ricchi), le cartine autostradali se è ansioso, e il navigatore se è un pigro, che ci vuole? Niente, e infatti ci pensa lui. Ma vorrei proprio vederlo a ruoli invertiti: una frana, con mille domande a tutti i membri della famigliola? “Tesoro che ti serve? Il triciclo? E tu piccola vuoi tutto il set dei peluche dietro altrimenti non dormi, vero?”. Davanti una valigia vuota l’essere umano dà il peggio di sé, e si ritrova in balia dei soliti archetipi: un uomo si sentirà sempre un esploratore e pensa al peggio che può capitare per far vedere a Madre Natura che lui può affrontare un tornado esattamente come una partita a briscola. La donna è più fortunata: con un beauty-case ha risolto tutto, il resto si compra! Sembra un test psicologico: dimmi come fai la valigia e ti dirò chi sei: troppa roba? Sei un ansioso: pensi che anche a Follonica possa servirti il permanganato di sodio per dare una sciacquatina all’insalata dei bambini. Poca roba? Ti svenerai con i conti del laundry dell’albergo. Invece questa sarebbe la circostanza adatta per dimostrare a se stessi il proprio grado di saper vivere: poco, di gusto e soprattutto velocemente devono essere le caratteristiche della valigia perfetta. Un metodo per riuscirci potrebbe essere quello di scriversi una lista, con l’accortezza di fare, una volta rientrati, il diario delle effettive esigenze vissute: troppi pullover, troppi costumi, e invece serviva un ombrello e una camicia in più. Ma chi ci pensa, se poi, non appena si torna, l’unica preoccupazione è quella di buttare tutto in lavatrice per dimenticare completamente le vacanze, che alla fine stufano pure quelle? La verità è che i tempi dell’Orient Express sono finiti da un pezzo, i bauli di Vuitton che venivano spediti un mese prima sono diventati un coffee-table da salotto. Le vacanze si chiamano ferie e sono un incastro nel calendario dove il divertimento o meglio la “svaccanza”, come la chiama giustamente Dago, sono un obbligo peggio del Capodanno. Alla fine il problema rimane sempre quello: la valigia non si chiude e non si chiuderà mai! Una cosa però, datemi retta, portatela sempre: una bustina di Bentelan. Non si sa mai...

lunedì 11 luglio 2011

Un matrimonio sbagliato


Ma siamo impazziti? Ma le regole dell’alta società dove sono finite? O meglio “quando” sono finite? Pochi giorni fa, o forse il 19 aprile 1956, quando la donna più bella del mondo sposò uno degli uomini più brutti, che poi, vedi alle volte, diventò bellissimo da vecchio? Forse quel giorno Grace Kelly, una donna che le aveva tutte eccetto un titolo, e per la quale Alfred Hitchcock, coniò, amando non riamato, l’ossimoro “ghiaccio bollente”, insomma la principessa di Hollywood più che di uno staterello iva esclusa, non poteva sapere che sposando uno che con lei non c’entrava niente avrebbe poi inconsapevolmente generato con quel matrimonio in bianco e nero tutto il macello di questi giorni, oltre ai tre fiorellini che conosciamo. Ho davanti gli occhi una cartolina comprata proprio a Monaco: in un giardino seduti ci sono Ranieri e Grace, alle loro spalle in piedi i tre ragazzi, Stefania già col broncio, Carolina bella come oggi con al fianco Philippe Junot (ve lo ricordate?), e Alberto ancora sgonfio e con i capelli. Mi sembra tutto regolare, no? Dissolvenza ai giorni nostri: Grace perita in un incidente assurdo, Ranieri morto di dolore, Carolina vedova e sposa erroneamente, Stefania lasciamo perdere, e Alberto, il nuovo re che oggi assiste al suo matrimonio con una bellissima Charlene Wittstock come fosse quello di un altro, distratto, pensando al buffet. Ma stiamo scherzando? Ma come, sua madre, nel suo ultimo film “Alta Società” mi ha fatto capire tutto e lui non hai ancora capito niente? È quindi un re quello che lascia piangere una ragazza tra i singhiozzi, senza una carezza, senza un gesto di conforto ma al contrario solamente con smorfie stizzite? No! L’unica acqua che avrebbe dovuto bagnare quelle gote poteva essere pioggia o l’acqua delle piscine di tutto il mondo, che fino allora avevano scolpito quel corpo atletico così inquietantemente WASP (White AngloSaxon Protestant), così simile a quegli stessi colori di Grace da Philaelphia, che 55 anni fa sedussero Ranieri. Sull’altare abbiamo quindi assistito a una lezione di mal ton del 2000 impartito da un re in persona. Per fortuna lei, in questo trambusto emozionale, dove i secondi durano secoli, è anche riuscita a regalare un sorriso straziante: un misto tra un “adesso mi passa” e un “ tesoro vedrai, andrà tutto bene”. Che grandiosità d’animo hanno le donne, quanto devono insegnarci ancora: la lezione l’ha data lei, a tutto il mondo, e l’uomo non ha fatto nient’altro che l’ennesima figuraccia. Anche Grace poco prima del matrimonio era impaurita e spaventata “sarà il caso?” confidava alle sue più care amiche, ma il fascino della favola all’epoca ebbe la meglio. Oggi che le favole non esistono più e con 100 euro da Gap ti rifai il guardaroba non mi sembra il caso di ipotecare la propria giovinezza sull’altare di un cartone animato. Scappa, Charlene, scappa, finché sei in tempo: un bis non lo vuole nessuno.

lunedì 4 luglio 2011

Quando arriva una multa


Quando arriva una multa, è una tragedia, non esiste niente, se non un telegramma foriero di notiziacce da sempre, che possa spaventare di più (che poi io lo so perché fa paura: è la parola GRAMMA, quella R e la doppia M sembrano un ringhio feroce: il solito problema onomatopeico). Nel tragitto che dalla portineria porta all’ascensore, dove ti viene consegnata insieme a uno sguardo sconsolato cui segue il nostro di rimprovero “non la poteva rifiutare?”, mille pensieri di vendetta e di rivalsa su tutto il corpo dei Vigili Urbani di tutto il mondo affollano il nostro cervello alla ricerca di mille modi per eludere la sanzione, partendo dal teorema “io non la pago”, perché qualsiasi cosa abbiamo fatto comunque non l’abbiamo fatto apposta. Primo step, vado dal vigile “amico mio”. Non esistono veri amici che siano vigili, tutte le altre armi sì, i pompieri, i poliziotti, i carabinieri, i sommozzatori, chiunque, ma di un vigile non ce la fai e la cosa bella è che non è colpa loro, è solo nostra: è più forte di noi, non siamo in grado di reggere lo sguardo di uno che ci rimprovera come una madre con il pargolo: “mi scusi, non l’ho fatto apposta” - “Ah, non ha visto che era direzione vietata? Che c’era il varco, che è corsia preferenziale, che è divieto di sosta, che è zona pedonale, che è vietato tutto? Non l’ha visto?”. Come fai a essergli amico, devi riconoscere che ha ragione lui e provi a dirglielo: “Mi scusi, mi ero distratto!” - “E allora, io posso farci niente, ormai hanno fatto il verbale, arrivederci, circolare!”. Quindi “amicizia” strada impossibile da praticare! E allora vado dall’avvocato, che ci parla lui al giudice di pace, glielo dice lui che a me una telecamera non può farmi la multa perché non ero io, non guidavo io, non era mio il motorino, c’è la privacy, non ero in città, insomma, no, non pago, non voglio pagare! E l’avvocato che ti dice? “Ma che c’è scritto sul verbale? Ché l’ha fatta la Sirio?” (che poi sarebbe il nome della telecamera, dal nome della stella luminosissima: vede TUTTO). Tu glielo leggi al telefono, sembra un’epigrafe: “impossibilità di fermare il veicolo in condizioni di sicurezza e nei modi regolamentari perché già distante dal posto di accertamento in servizio appiedato”. Ma che vuol dire? “Che stavano a piedi, erano vigili, t’hanno visto, non c’è niente da fare, stai più attento la prossima volta, ciao”. Quindi non rimane che la telecamera, Sirio o Panasonic che sia, potrà toppare una volta, una che è una? Vado dall’avvocato: “se c’è scritto Sirio ves, possiamo fare ricorso, però solo se siamo fortunati, se c’è gente al tribunale, se passa il tempo, se la perdono o si dimenticano, forse ce la facciamo, proviamo, dài, lasciami ‘sta multa, ci penso io!”. Oh, finalmente, lo sapevo io che c’era un metodo, il portiere può anche smetterla di accettare le multe tanto io non le pago, non sono mie! Dissolvenza, cinque anni dopo, il portiere sorride, è nato un bambino nel palazzo? Hanno consegnato una cassetta di champagne? “No! È arrivata la cartella esattoriale, mi sa che sono tasse...”. La apri: ed è di nuovo quella multa che si è decuplicata come i pani e i pesci. Sirio vince 2 a 0 contro la tua vita e suggerisce un altro metodo diverso da tutti gli altri messi in pratica fino adesso: pagare.