mercoledì 29 febbraio 2012

Quando il paletto della porta...

“Metti il paletto”. Dentro casa è una parola che dovremmo sentire solo quando siamo piccoli per le prime prove di coraggio che ci vengono permesse di dare. Quando poi lo siamo diventati il paletto non va più messo, per lo stesso motivo: siamo più grandi, anzi, vecchi. E certo: il momento in cui chiederemo a un amico di prendersi le chiavi di casa “perché, non si sa mai, facciamo le corna, però nel caso, tienile”, sarà la subliminale conferma che QUALCUNO potrebbe darci una mano e quel qualcuno non siamo più noi. A quel punto, una volta date le chiavi all’amico, e la sera prima di andare a dormire si mette il paletto, siamo degli imbecilli. Certo: perché gli rendiamo difficile tutto il soccorso che dovrebbe dare. Tu, amico soccorritore, devi chiamare i pompieri per farli entrare e togliere il paletto, magari è un paletto di quelli che manco i pompieri e allora “tocca butta’ giù la porta!”, bello, no? Poi entri e lo trovi riverso con il naso rotto, cerchi bottiglie di bourbon in giro (un po’ alla William Holden), non ci sono, ma la prima frase che dice è “ma adesso la porta come si richiude?”. Vorresti ucciderlo definitivamente ma ti fa pena e allora lasci perdere, prepari il caffé ai pompieri per ringraziarli e dici loro che adesso ci pensi tu all’amico tuo, ma loro ti ricordano che devono chiamare il 118 comunque, anche se si è SOLO rotto il naso. E quindi arrivano quelli del 118 e fanno mille domande a te perché lui ancora biascica e tu rispondi sì alla domanda patibolo “Quindi lei rifiuta il ricovero?” addossandoti la responsabilità di un malessere improvviso che al momento non sembrava. Gli prepari un caffé anche a quelli del 118, e intanto chiami il tuo migliore amico che ovviamente DEVE essere un medico e che ti consiglia di portarlo in clinica “perché in ospedale un naso sai quando te lo guardano?”. Lo porti lì e ti piace subito un’infermiera e speri che l’amico tuo ci rimanga un po’ lì dentro, così potrai fare lo scemo con lei. Mentre gli fanno le lastre si avvicina una segretaria che ti chiede se l’amico tuo ha un’assicurazione, tu rispondi per te trionfalmente: “Io sì, ma lui non credo proprio, ma non si preoccupi, pagherà tutto!”. Dopo averlo sistemato in camera torni a casa e avverti tutti gli altri dandogli il numero della stanza. E in quel momento suoneranno alla porta: è la tua ex fidanzata che vuole litigare svegliando il condominio, in quel caso con la mano sinistra chiudi delicatamente il paletto e ti prendi un sonnifero pensando ai racconti che farai all’indomani all’infermiera che incontrerai sulla porta della stanza del tuo amico. Ma questa è tutta un’altra storia...

mercoledì 22 febbraio 2012

Un uomo e Sanremo

Dietro gli ascolti dell’ultimo Festival di Sanremo ci sono litri di Prosecco, di Franciacorta, di qualche champagne, ormai cimiteri di bottiglie per il riciclo, chili di pasta, formato corto, condita con sughi pratici per non schizzare su vestiti, centinaia di buste d’insalata (inutilizzata), decine di cabaret di frappe, sigarette, vodke, limoncelli. Tutti consumati in questa settimana di 5 serate vissuta in una girandola di inviti come nemmeno a Natale, gole roche per i commenti live con gli ospiti a casa e polpastrelli consumati da sms e tweets lanciati nell’etere per commentare con gli sconosciuti dei social network. Sanremo è finito. E pure noi. Siamo a pezzi, e riprendersi non sarà facile: servirebbe una settimana in una beauty-farm, ma molto più probabilmente ci accontenteremo di una zucchina lessa e acqua naturale per un paio di giorni, più per prenderci in giro che per rimetterci in forma: non vediamo l’ora che arrivi Pasqua! Chi non ha bisogno di riposo perché abituato alle maratone nel senso stretto del termine è Gianni Morandi. L’ho conosciuto durante una trasmissione su Radio Due: eravamo ospiti entrambi e per lui avevo scritto un pezzo sulla sua invidiabile forma fisica ottenuta però a caro prezzo con una dieta ferrea che non ammette distrazioni di nessun tipo e che noi non potremmo mai permetterci. Gianni ascoltò il pezzo divertito (meno male) e anzi mi seguiva partecipando. Alla fine, come da scaletta, mi chiedono una sua canzone da mandare in onda e io chiedo “Varietà” di Lavezzi-Mogol. Gianni si sorprende del titolo scelto (ognuno ha la sua preferita) e la musica parte, ma mi prende un braccio e mi dice: “Dài, cantiamola insieme!”. Lasciamo perdere l’esito della performance, ma Morandi che mi suggeriva le parole strofa per strofa accompagnandomi tra le pieghe melodiche di quel pezzo è stato esattamente quell’uomo che poi ho visto quest’anno a Sanremo: accompagnare con un sorriso tutto quello che gli stava succedendo attorno. Ma avrete notato come a un certo punto della serata abbiamo pensato: “Ma Gianni è stanco!”. Perché, noi no? Eravamo stravolti dalla stanchezza e vederlo lì in mezzo a quella maratona sembrava quasi di sentirlo dire: “Dài, amici, restate con me, tra poco è finito e ce ne andiamo tutti a casa!”. Ora che Sanremo è finito e noi con lui, rimane una sola raccomandazione: fatelo come volete ma un po’ più corto, perché Gianni è allenato e fa 1000 km all’anno di corsa, noi ci facciamo 1000 litri di prosecco, ma poi andiamo a dormire!

mercoledì 15 febbraio 2012

Voglia di emergenza

Quali sono i negozi dentro i quali ci si sente meglio? La farmacia è senz’altro al primo posto per forza di cose, al secondo spesso si trova un salumiere, ma oggi ci metterei il ferramenta, perché io di questi tempi voglio vivere nell’emergenza, o meglio voglio saperci vivere, per essere sempre preparato al peggio. Lo trovo quasi eccitante per un fatto di tigna: “succedesse pure quello che deve succedere: io sono pronto!”. In questi giorni di vero inverno (così almeno i telegiornali hanno capito che hanno fatto male a usare tutti quegli aggettivi superlativi l’anno scorso), andare in un ferramenta reca conforto. È lì dentro infatti che potremo comprare quel magnifico scotch americano telato grigio capace di tenere insieme anche i pezzi in frantumi della nostra psiche. Una torcia, sempre americana, una Maglite (quelle sciabolate di luce viste nel film di Spielberg per cercare ET nel bosco) per fare luce nel buio della nostra esistenza. Invece molti si sono lamentati dell’obbligo delle catene a bordo, ma come? Ci piace tanto essere equipaggiati con il corredo tecnico degli atleti per non avere freddo e poi non ci mettiamo una catena a bordo perché nevica ogni 35 anni? E se viene giù pure l’anno prossimo che fai, ti arrabbi? Compra ‘ste catene e falla finita! Anche se va detto che cercarle la scorsa settimana entrando in un autoricambi sembrava di stare alla borsa di New York con tutti che urlavano i numeri dei parametri delle gomme: “Io sono una 135! Ma ne voglio 4, ok? - Ti accontenti di una? - Ok: è buono per me!”. Per poi scoprire che una signora le comprava per non mancare l’appuntamento con l’estetista per una ceretta irrinunciabile! Nel 1980 uscì un libro per Sugarco, autori due ex ufficiali della Marina Militare Americana, dal titolo “Manuale di sopravvivenza”. Tradotto in italiano riportava le regole per cavarsela su un ghiacciaio, nel deserto, in mare aperto, nella giungla. Me lo sono comprato ma che ci ho fatto? Niente: del resto saperci orientare senza carta e bussola in città non serve, ce la caviamo comunque dopo avere localizzato l’edicola e il bar più vicini per raggiungere il tabaccaio, e alla fine “il Manuale delle Giovani Marmotte” basta e avanza... Comunque tra poco sarà tutto finito e non ci resterà che aspettare l’arrivo dell’estate che, già ve lo dico, sarà ovviamente “torrida”. Nel frattempo per non sapere né leggere né scrivere io mi sono comprato una torcia e un rotolo di scotch, hai visto mai che invece nevica?

mercoledì 8 febbraio 2012

La nevicata del 12

E quindi era 27 anni fa che a Roma venne giù un po’ di neve paragonabile a quella di questo weekend appena passato?Era quando al cinema c’era Ghostbusters, Amadeus e The Blues Brothers? Quando Elton John cantava Nikita? E quando in tv Arbore faceva “Quelli della notte”? Fatto sta che quella mattina arrivò una telefonata di un amico che lanciava l’idea di andare a fare un giro con la sua Mini 90 per vedere Roma con la neve, o meglio, più che Roma, l’unico posto fuori casa che conoscevamo bene come il nostro quartiere: scuola. Ci sentivamo fieri di possedere le catene in virtù di qualche gita al Terminillo, ci sentivamo eroi nel montarle sotto gli sguardi disinteressati delle nostre amiche al seguito, e tutto questo per andare davanti al cancello del liceo e fare una foto al lucchetto della catena che lo chiudeva, ricoperto di neve; una con l’autoscatto per testimoniare che tutti noi avevamo sfidato le intemperie su Ponte Flaminio, in modo da vedere Monte Mario sullo sfondo che somigliava a una qualunque pista blu della Val Gardena e un’altra ovviamente di fronte al getto ghiacciato di una fontanella del Villaggio Olimpico. Basta. E certo: perché si trattava di una macchina fotografica con un rullino di pellicola a colori all’interno che avremmo sviluppato solo dopo aver scattato tutte le 36 pose disponibili, quindi alla Pasqua successiva, quando quelle foto in soli quattro mesi si sarebbero trasformate da ricordi che erano nella preistoria personale di ognuno di noi. Oggi che invece quella nevicata ci sembra ieri vediamo tutto con altri occhi: se stiamo lavorando tiriamo giù qualsiasi moccolo per urlare “ma guarda che robba! Come faccio a torna’ a casa?”, ma non appena ci danno il via libera ci torna il sorriso: “Aho però è bello, ve’?” fino a quando non ci rendiamo conto che la macchina la dobbiamo lasciare sotto l’ufficio e si deve tornare a casa a piedi senza i moonboot. Solo in un secondo momento, magari con l’aiuto di un iPod che ci isola da tutto, anche dal silenzio delle strade, noteremo un giocattolo sbattuto sul muro dei palazzi da un bambino che già si annoia dei suoi genitori, le impronte delle scarpe dei romani, quasi tutte a papera, (non sembrava senza neve!), o le mani porcine di un uomo sul volante della sua macchina con il finestrino abbassato mentre sta finendo di fumare una sigaretta. Come a dire che sopra e sotto la neve alla fine c’è sempre Roma! E la prossima nevicata degna di tale nome? Le statistiche dicono che se non viene domani, sarà tra altri 35 anni. Paura? Chi la vedrà? Ma soprattutto chi la ricorderà?

mercoledì 1 febbraio 2012

Cosa le donne amano degli uomini


Niente, si sa. In un bar domenica scorsa è entrata una coppia ottuagenaria, in ottima forma con movimenti giustamente misurati. Lei in pelliccia, lui in cappotto. Problema: il “loro” tavolo era occupato dal sottoscritto che leggeva il giornale con un caffè. Mio sguardo basso per evitare i fulmini e le saette della signora che a voce alta dice ”si può andare anche nell’altra stanza per ordinare?”. Tutti le rispondono di sì, ma lei insiste, sottolinea: “allora andiamo nell’altra stanza, caro, perché qui non c’è posto!”. Accompagna il marito e torna con ben altro passo davanti al bancone dove il barista attende la comanda. “Scusate ma ero impegnata a organizzare mio marito, due cappuccini decaffeinati grazie”. A questo punto l’ho guardata. Era un’altra: sistemato il marito aveva ripreso possesso della sua indole, cinguettava con il barista sul freddo di questi giorni, salutava un amico, e poi tornava al tavolo dal compagno della sua vita per godersi il breakfast e gli argomenti domenicali. Ho pensato: quel marito anni fa si sarà comportato come si deve con lei, avrà ordinato altro che due cappuccini deca, ma ostriche e champagne, avranno viaggiato insieme, lui le avrà ceduto il passo, aperto la macchina, insomma tutto, no? E adesso che è successo? Perché fa tutto lei? Perché sono cambiati i ruoli?Perché l’altra settimana ho sentito al pronto soccorso oftalmico un marito chiedere al medico di turno di far entrare anche la moglie perché “lei capisce tutto di ticket”? Io mi chiedo allora, se siamo così imbecilli, cosa amano di noi le donne? Mistero. Secondo me è solo un gioco delle parti, in seduzione ci permettono di fare tutto, anche se sanno già cosa faremo. Ma poi i ruoli si ribaltano e l’uomo diventa un esecutore di cose pratiche ma di bassa manovalanza tipo parcheggiare fuori da un teatro, o un cinema mentre lei prende i biglietti (così non sbaglia posto o spettacolo, come farebbe lui) o andare a prendere la suocera il giorno di Natale, oppure cambiare una lampadina. Finito. Visto che anche per una cena solo le donne che decidono il giorno perché il loro calendario è molto più aggiornato del nostro. Ed è giusto così: la donna, nata dalla costola di un essere creato dal fango di uno sputo, con una mela, una che è una, ci ha fatto capire che il verio genio è lei. E sapete perché? Perché di una donna ci si innamora, o si può, anzi si deve, diventare amici, ma per lei si rimarrà sempre e soltanto un figlio.