martedì 2 novembre 2021

If Keith Emerson 77

 

Da Beethoven a Keith Emerson senza passare dal via. Questo è stato il mio personale passaggio dalla musica che c’era a casa, alla musica scelta da me: no Beatles, no Stevie Wonder, no tutto il resto che è venuto dopo. Non ancora. Alle medie mi dicono “ma se ti piace così tanto la classica perché non ti senti Pictures at an exhibition” degli Emerson Lake & Palmer?”. E così è andata! Io che conoscevo solo l’arrangiamento magistrale che Ravel aveva regalato a Mussorgsky, che l’aveva scritta per piano solo, sento per la prima volta in assoluto che cosa si poteva fare di un pezzo come quello: sbrocco e mi compro tutto il resto diventando un mitomane di questo tastierista! Scoprendo per esempio che un pezzo come “Tank” era stato la sigla di una rubrica del TG della Rai dell’epoca. Grazie a Keith Emerson e alle sue citazioni scopro Prokovief, Copland, Rodrigo, Bartok, insomma il 900 che mai avrei immaginato avrebbe potuto piacermi così tanto. Tanto da portare Allegro Barbaro alla mia insegnante di piano per suonarlo, lei mi ride in faccia: “scordatelo”.

“Honky Tonk Train Blues” (la sigla di Odeon) dove Keith “inceneriva” quella tastiera di un piano verticale, come il mio, mi andai a comprare una catenella da tappo della vasca perché sulle riviste si diceva che quello era il trucco per avere quel tipico suono metallico da piano-saloon! (Marcello Avallone era il regista del video girato a Los Angeles contro un telo nero perché i controcampi erano stati già ripresi a Roma!). Andavo ancora a sentire i concerti a Santa Cecilia e allo storico critico musicale del Messaggero Teodoro Celli, gli portai il disco del Piano Concerto N.1 di Keith Emerson chiedendogli se lo conoscesse. Quel sorriso “pat-pat” di compatimento non lo dimenticherò mai più!

Anni dopo Keith arriva a Roma, direi per la colonna sonora di “Inferno”, scopro che dorme al Raphael e imploro mia madre english speaking di chiamarlo in albergo per chiedergli un appuntamento per fargli un’intervista. Lui gentilissimo le risponde di chiamare il suo ufficio stampa. Niente: mi è rimasta la cassetta BASF 90 con l’audio delle telefonata tra loro due.

Riesco finalmente a conoscerlo negli studi della Safa Palatino (dove anni dopo avrei partecipato a Non è la Rai) e finalmente mi scatto una foto con lui e mi faccio firmare album e spartiti. Ma non riesco a fargli capire quanto fossi plagiato da lui. Vado all’Arena di Verona a sentirlo LIVE con quegli altri due, Greg Lake gonfio e stonato, Carl Palmer magro ma tonico, e lo vedo in piedi sull’hammond con i coltelli “No, Keith no! Ti fai male”

Continuo a comprare i suoi dischi, uno con gli ELP e l’altro da solo dove dedica un pezzo al suo Steinway! 

 

Scrissi tutto questo prima che Keith si facesse male sul serio cinque anni fa,  e oggi, che sarebbe stato il suo 77 compleanno, so solo che il mio primo mito, vero, in carne e ossa, sta correndo con quelle dita veloci su altre scale, verso l’infinito.

giovedì 14 ottobre 2021

Compagnie aeree



Il primo lavoro di mia madre è stato alla LAI, Linee Aeree Italiane, è rimasta lì qualche anno, prima che venisse chiamata Alitalia. L'ufficio si trovava in Via Barberini, in un palazzetto accanto al Cinema Barberini e accanto alla Compagnia di Navigazione Marittima "Italia" (proprietaria della motonave Andrea Doria, il precedente e unico modo di andare a New York, via mare, 10 giorni di viaggio). Mia madre era stata assunta perché parlava tre lingue oltre all'italiano educato degli anni 50, era giovane, aveva 21 anni, e non le pareva vero di stare lontana da casa, e da sua madre, almeno 10 ore al giorno. Lavorava all'ufficio prenotazioni e riceveva chiamate da chi all'epoca faceva parte del jet-set senza nemmeno saperlo, un club esclusivo la cui tacita iscrizione era concessa dal semplice fatto che si potesse comperare un biglietto aereo andata e ritorno. Nel 1957, conosce mio padre, che lavorava sempre alla Lai, ma al "cargo". L'aeroporto era quello dell'Urbe sulla Salaria, poi è stato Ciampino, e il check-in si faceva a Via Barberini: i passeggeri "imbarcavano" i loro bagagli negli stessi pullman che li avrebbero poi portati direttamente all'aeroporto! Solo dopo le Olimpiadi del 1960 si cominciò a decollare dall'aeroporto Leonardo Da Vinci, a Fiumicino.

Nel 1958 viene chiamata alla SAS, le linee aeree Scandinave, in Via Bissolati, che insieme a Via Veneto, era la strada della dolce vita, anche geograficamente: una volta passati davanti a Palazzo Margherita, sede dell'Ambasciata Americana, era inutile scendere a destra per il secondo tronco di Via Veneto. Sul curvone con un enorme platano al centro, c'erano solamente l'IRI, le banche e qualche albergo. Invece scendendo dritto per dritto trovavi appunto tutte le compagnie aeree. C'erano la British Airways, l'ELAL, la MEA, la PAN AM, la TWA, la stessa ALITALIA: nomi che ti facevano sentire "international". Anche il bar, si chiamava "California" e lì potevi fare qualche acchiappo: i turisti che andavano a verificare il biglietto nella compagnia di bandiera, non resistevano alla tentazione di un "italian cappuccino" al bar. Insomma andare a farsi un giro a Via Bissolati tra una vetrina e l'altra era come andarsi a fare un giro per il mondo in 80 vetrine. 

Dicevo, da quel momento, grazie alla SAS, a casa mia venivano oltre alle sue colleghe italiane, anche quelle svedesi, alte, bionde, occhi azzurri, non ci capivo più niente e senza volerlo hanno condizionato per sempre i miei gusti! Quando poi nel 1980 Calvin Klein disegnò le divise anche per chi non lavorava a bordo, vedere mia madre elegantissima a casa la mattina quando usciva mentre io ancora andavo al liceo era comunque una cosa...

Racconto tutto questo perché la sera a tavola gli argomenti erano su questo lavoro, mio padre nel frattempo aveva cambiato mille compagnie aeree, e i miei per non farsi capire da noi ragazzi cominciavano improvvisamente a parlare inglese o francese, quando la dicevano troppo grossa su qualche collega, e noi, petulanti, insistevamo per sapere quale fosse mai quel pettegolezzo cui non avevamo accesso... 

Racconto tutto questo perché le colleghe italiane del booking office, mi hanno visto crescere, da neonato a ragazzo "ribelle" ("che vuoi farci Sandra: è l'età..."), regalandomi negli anni le fiabe sonore, le macchinine Legoland, qualche libro per ragazzi, qualche 45 giri "Vengo anch'io, no tu no", qualche felpa; mi hanno addirittura consolato quando i litigi a casa erano la regola, e tutto questo al telefono perché loro vivevano al telefono fisso dell'ufficio. 

Racconto tutto questo perché sono state madri tutte, tanto che la mia preferita, Birthe, danese di Copenhagen, l'ho chiamata mesi fa e nel suo italiano pazzesco mi ha detto "Rigardo, ma... aspetta, mi verso un bighiere di vino, è troppo fforte la sopresa". Non voglio sapere quanti anni ha, vive in un villaggio sulla costa della Danimarca, e oggi, che Alitalia fa il suo ultimo volo con quel nome pazzesco, ho pensato a tutte loro: le ragazze delle compagnie aeree...




martedì 26 gennaio 2021

Jump to it! Goodbye Aretha


Ero in una discoteca, una di quelle vere, in Francia, da ragazzo, quando ancora credevo che nelle discoteche chissà cosa dovesse mai succedere. Durante questo sabba di corpi che giudicavo alla ricerca della donna della mia vita, parte un pezzo: un coro nel silenzio, poi un giro di basso, ma non era proprio un giro, piuttosto direi un sentiero che mi portava senza saperlo verso una serie di yeah yeah, che anticipavano una voce pazzesca di una che avevo solo sentito dire “Capito?!”, ai Blues Brothers, vestita da cameriera, alla fine di “Think”. Torno a Roma, descrivo questo pezzo a Walter di Goody Music che mi dice:

- Ho capito: questo?

E mette su un disco mix della Arista a 33 giri con due versioni sul lato A di "Jump to it", scritto da un tale Marcus Miller, chi è? “un bassista!”.  

Dissolvenza: 15 anni dopo, Spagna, Madrid, per lavoro, dopo cena si decide tristemente di andare in una discoteca, ma che ci andiamo a fare? Ormai siamo grandi, la donna della mia vita non esiste, non la troverò mai, pensavo, ma gli altri "dài, facciamo la seratona!". Vabbè, andiamo...

Le donne che erano con noi vestite per l'occasione (!), noi no (figurati), entriamo in una discoteca vuota come un frigo con l'eco. Brividi lungo la schiena, "non c'è nessuno, andiamo via!" dico subito. "No, aspettiamo che si scaldi l'atmosfera...". Ma vi dico che nemmeno un microonde ci sarebbe riuscito. In una pista vuota, una tristezza senza fine, cominciamo a fare finta di divertirci, si balla, male, con noia malcelata, si era comunque fuori tempo massimo per tutta la questione, perché in discoteca ci vai a vent'anni e basta, non per lavoro con gente che non vedrai mai più. E dopo un po', aspettando questa atmosfera che tardava a riscaldarsi, finalmente gli umori cambiano: se all'ingresso c'era quell'euforia del facciamo tardi, adesso la prospettiva di andarsene a letto era più confortante di una vodka gelata.

Ma proprio mentre tutti si avvicinavano al guardaroba vicino all'uscita di quel tunnel della notte decido di rimanere APPOSTA "voglio proprio vedere che succede a ballare da solo in una pista enorme vuota". Che poteva succedere? Niente. E però... magic!

Improvvisamente senza nessuno accanto in quel vuoto assoluto, con tutto lo spazio a disposizione e le luci che disegnavano il nulla nel nulla, mi sono sentito il re di quella discoteca perché avevo riconosciuto questo pezzo straordinario cantato dalla mia lady preferita, la regina del soul Aretha Franklin e su quella pista ero lì con lei.  Solo il dj mi ha guardato da lontano, non era Walter, ma ci siamo capito lo stesso. 

Aretha, ciao!

 

PS: in ricordo di Aretha Franklin, R.I.P. 16 agosto 2018

 

lunedì 25 gennaio 2021

Pongo 60


Oggi compie 60 anni La Carica dei 101! Sì, è uscito proprio il 25 gennaio al cinema, e Walt Disney non ci credeva nemmeno tanto (hai visto come alle volte anche i grandi sbagliano?!?). Alzi la mano chi da adulto, cioè da ieri, non l'ha rivisto almeno una volta! Ve la ricordate la prima scena? Pongo, il nostro Pongo, si sporge annoiato dalla finestra per vedere chi passa di sotto, facendo qualche pensiero sulle donne che passano insieme al loro cane. Non sbaglia un commento: ogni cane è esattamente la raffigurazione animale del suo padrone e quando finalmente appare quella ragazza, che dopo un po' scopriremo essere Anita, non può che essere accompagnata da una deliziosa Peggy, bella come lei e giustissima per Pongo! Via, si parte! Col naso Pongo sposta le lancette avanti (orologio meccanico: almeno uno in casa bisogna averlo) e trascina giù quel pianista da strapazzo di Rudy. Lo schema di seduzione è sempre lo stesso dalla notte dei tempi e Pongo lo sa di default, sono millenni che sa rimorchiare le ragazze e quindi tocca proprio a lui prendere l'iniziativa, se aspettiamo Rudy stiamo freschi: quello sta appresso alle note degli accordi (come me tra l'altro che in questi giorni sto impazzendo dietro ai 6, dico 6, bemolli in chiave di Secret Garden di Quincy Jones, ma questa è un'altra storia e ne parleremo tra 10 anni, quando l'avrò imparata, male). Insomma, Pongo fa di tutto per essere notato e soltanto dopo aver causato quel guaio della caduta nel laghetto, finalmente anche Peggy gli fa un sorriso visto che Anita si è già innamorata di Rudy quando le porge il fazzoletto bagnato per asciugarsi. Vi racconto tutto ciò perché è questo il modo più romantico che, da 60 anni ormai, si sogna per trovare la donna della tua vita: vuoi il dalmata, lo vuoi chiamare Pongo, vuoi quel laghetto, e vuoi pure trovare una ragazza che si metta a ridere perché ce l'hai fatta cadere dentro: "o la conosco così o niente!". Non c'è burraco, aperitivo, palestra, corso di lingue, di tango, di cucina che tenga (forse cucina sì, se le rovini un timballo buttandoci dentro il sugo della tua amatriciana e lei ci ride sopra, ma forse più tardi ti graffia la macchina con la chiave incidendo il suo numero di cellulare). Vuoi conoscerla e parlarle ovviamente delle "incredibili coincidenze tra la vostra storia e quella della "Carica", che lei giustamente conosce a memoria, anzi ti sa dire che il regista "Wolfgang Reitherman guarda caso ha poi diretto La spada nella roccia, Il libro della giungla e ovviamente Gli Aristogatti!". E solo dopo che avrete adottato 101 cuccioli nei canili di tutta Italia (senza trovarli: li ha requisiti tutti Crudelia Demon), ti sveglierai da questo sogno con questo brano in sottofondo, e finalmente dopo 60 anni capirai che "La carica dei 101" non era solo un film, ma addirittura un cartone animato! Però non si sa mai: adesso vado al canile!

sabato 23 gennaio 2021

Body to body

Quando uscivi di pomeriggio alle quattro con il motorino e l’aria sulla faccia che ti faceva sentire padrone del mondo, c'era il rito che aspettavi da una settimana: andare in discoteca, dove senz'altro avresti trovato quella fidanzata che avevano tutti eccetto te, e per non dare nell'occhio sembrando quello che ci va solo per questo motivo, ti eri portato un'amica che era rimasta senza passaggio per un motivo qualsiasi e aveva accettato volentieri a patto di fare la scena di entrare insieme e poi sciolti, ognuno per conto suo. Le cose sarebbero andate per conto loro ma la domenica pomeriggio vedevi una puntata di Discoring sulla Rai e notavi che la sigla era stata girata proprio al Much More di Roma: la tua discoteca, la tua, solo tua poteva essere perché nessuno la conosceva meglio di te e lunedì a scuola dicevi "Io ci sono stato! Forse quello col piumino ero io, forse quella ragazza bionda l’ho vista, mi sembra che ci ho ballato, forse, non mi ricordo c'era un sacco di gente...". Forse, forse, forse era tutto un forse, perché non c’era nemmeno il videoregistratore, e non potevi rivederti ma nessuno poteva smentirti, ti ricordi che c’era quel pullover di Benetton beige con i rombi, che era quello che aveva lei, e in quei giorni ti sembrava di vederlo dappertutto... 

Qual era stata la realtà di quel sabato pomeriggio? 

La verità era che l'amica tua se ne era andata a pomiciare con uno più grande di te di soli due anni, ma che ti sembrava un uomo fatto, uno che prende le decisioni, uno che guida la macchina, uno che vive da solo, uno che lavora, spaccia, che è andato in galera, ha già visto tutto il mondo, ha la barba, ha gli occhiali, è pieno di soldi, ha tutte le donne del mondo, uno più vecchio di tuo padre, che è vecchio da quando tu hai un'ora di vita.

E quindi tu eri rimasto solo a fare che? Beh, innanzitutto a renderti conto di dov'eri: era la discoteca con gli effetti speciali, e te ne andavi in galleria, era un ex cinema, a cercare di capire come funzionava il laser, ma quando ti eri accorto che un ragazzo tuo coetaneo lo pilotava con un aggeggio e già solo per questo era fichissimo e infatti stava con una bionda vicino che lo abbracciava, non ti rimaneva che andare dal deejay a far finta di chiedere che disco era e lui non te lo diceva o te lo diceva ma non si faceva capire. Quindi riscendevi giù in pista a cercare un varco tra tutti quelli che ballavano per muoverti da solo senza osare di posare lo sguardo su nessuno perché ti sentivi fuori da tutto, comunque. 

Alla fine non ti rimaneva che chiedere la consumazione al bar e se il barman ti salutava un’inezia più cordialmente ti sembrava che fosse il tuo amico più caro e tu di conseguenza lo eri, forse perché capiva quanto eri sfigato, quasi come lui che ti serviva un drink... (un drink? una coca!)

poi tu chiedevi proprio una coca perché ti sembrava che chiedere "una coca" fosse più fico di chiedere "una coca cola" che era troppo infantile perché avevi visto che John Belushi in The Blues Brothers chiede “una coca!” e basta e quindi tu sei fico come lui a chiedere "una coca" e basta, senza aggiungere "cola".

Alla fine della serata, che poi erano le sette o forse le sette e mezza di sera, potevi tornare a casa dai tuoi: 

- Che hai fatto? 

- Niente... 

E per una volta era vero.