mercoledì 25 gennaio 2012

Cena di classe


Prima o poi nella vita arriva un sms di un vecchio compagno di classe che dice di essere in città per una sera: “c’è qualcuno che vuole venire a cena?”. Tra tutti gli ex comincia una girandola di conferme e smentite con impegni presi o da disdire legati tra loro da un’unica domanda finale “tu ci vai?”. Nessuno, proprio come succedeva a scuola, ha il coraggio di dire sì per primo, forse perchè ha paura di essere lasciato SOLO con quell’ex compagno di classe che per una sera della sua vita si trova nella sua città di una volta i cui ricordi sono legati ancora a un edificio, il liceo di quand’era ragazzo. E poi, proprio come in classe, sbuca fuori il primo “sì io ci vado, tu?”, detto con tranquillità, scioltezza, eleganza, di chi sa che non ha niente da perdere da una serata del genere, anzi “forse ci facciamo una risata, perché no?” e tutti dietro: “allora pure io, pure io, pure io!” Vedete come a volte ci si lascia imbracare dalle paranoie solamente per la paura di non farcela da soli. Alla spicciolata arrivano un po’ di amici in un bar scelto più per comodità logistica che non per l’atmosfera giusta, tanto quella si creerà al primo sguardo verso chi ci conosce come le nostre tasche. Finito l’aperitivo, il passo successivo sarebbe quello di salutarsi per riprendere ognuno il filo della propria agenda, ma guarda caso, si nota che negli occhi di tutti c’è rimasto tanto da dirsi e la voglia di andarsene non c’è. Si comincia a prendere un altro appuntamento per la “prossima volta, per una cena tutti insieme, dài!”, ma in realtà tutti si attaccano al cellulare e cominciano a disdire gli impegni presi prima: “Non sai cos’è successo poi ti spiego, scusami con tutti, ci sentiamo domani, adesso non posso parlare”. Famiglie, amici, conoscenti, tutto finito: SIAMO LIBERI. E adesso? “Spaghetto da me?” - “Sìììì!”. Via! Il bar esplode in un urlo liberatorio, tutti a gara per pagare quelle 4 noccioline e gli spritz ingurgitati più per sciogliersi che per il piacere di berli: stasera champagne! Perché davanti a quel linguaggio di gente che trent’anni fa si mandava a quel paese senza sapere perché, non c’è niente che regga. Non è Natale, ma è il Natale che tutti vorremmo vivere la sera di Natale. Non per i ricordi, ma solamente per una lingua, quella che non parliamo più con nessuno, mogli, figli, al lavoro, i nuovi amici, nessuno. Nessuno può conoscere la lingua che parlavo io trent’anni fa se non SOLO quelli che la parlavano con me in quella classe con i banchi in formica. Ed è per questo che la risposta a quel messaggio di un ex compagno di classe sarà sempre “Sì!”.

10 commenti:

cascatino ha detto...

Ho divorato questo tuo pensiero estemporaneo e mi ci sono ritrovato comodo comodo, come un buon guanto di lana.

Grazie per farci partecipi di
qualcuno dei tuoi pensieri!

Anonimo ha detto...

è così! è esattamente così! è la stessa sensazione, e mozione che provo quando torno nella mia città e quando mi ritrovo con loro... quelli che definisco i miei fratelli per sempre. quelli con cui abbiamo condiviso cavolate, viaggi, vacanze, il terrore di essere interrogati dalla prof di turno, occupazioni, autogestioni, primi amori, primi dispiaceri... gli stessi che mi sono stati vicini e mi sono tutt'ora vicini nei momenti difficili. I miei fratelli di sempre... quelli che mi conoscono meglio di chiunque altro!

Giorgio ha detto...

Si, si... tutto vero, tutto bello! .... Per quanto ...... mica va sempre così, noo?? Bella Riccà!

Anonimo ha detto...

Alcune volte può rivelarsi sconcertante rivedere dopo 20 o 30 anni un esimio sconosciuto che l'unica cosa che ha avuto in comune con te è stata un'aula, una sedia sconnessa e alcuni professori ormai dimenticati.
Ritieniti fortunato Ric se non appartieni a questa categoria.

grilletto salterino ha detto...

E' l'atmosfera che accomuna i più. La ragione: non eravamo più bambini, non eravamo ancora adulti, il momento più bello in cui fermarsi. Io e i miei compagni abbiamo un luogo segreto in cui incontrarci e tra noi ci chiamiamo "i sempreverdi".

Anonimo ha detto...

Personalmente non amo molto questo genere di "amarcord".Ritengo che dopo decenni le rimpatriate sono davvero patetici incontri tra persone diventate estranee. Fortunato te che riesci ancora ad essere felice di questi appuntamenti e riesci a raccontarli con slancio ed entusiasmo.
Resta il fatto che sei il migliore.

fra ha detto...

Leggo con un po' di ritardo questo post, sempre passando da Chiara.
Ma quanto hai ragione? Le superiori sono gli anni più belli della vita!Quelli in cui entri in classe incazzata e ti ritrovi ad essere sbattuta fuori dalla porta perchè non la smetti di ridere!E quando ti capita di raccontare qualche aneddoto sul posto di lavoro tutti ti guardano perplessi come a voler dire:embè che c'è da ridere???Ma tu lo sai quanto c'è da ridere e sai anche che a questa stronz...ridono ancora oggi quegli atri 20 deficienti che conosci ognuno per nome cognome e soprannome!Parte indimenticabile di te!

La Michy ha detto...

Ric,post fantastico!!Pensa:proprio a Natale ho rivisto,dopo ben 17 anni,un ex compagno di scuola.Nella mia classe non mi sono mai sentita legata particolarmente a nessuno (scuola vip,se non eri del giro venivi un pò emarginato...),con lui non si parlava granchè,eppure in quelle 2 sere ci siamo trovati benissimo!!!E ti dirò:in base agli sms che ci scriviamo,credo stia flirtando!;) Ecco,la rivincita del brutto anatroccolo(me)diventato gradevole cigno!:D

Roberto ha detto...

semplicemente meraviglioso

Francy ha detto...

Si, un abbraccio e due occhi grandi che che cancellano 30 anni... Perchè tutto quello che siamo oggi è cominciato proprio lì, su quei banchi, con quelle persone.
sei un grande Ric...