Lunedì scorso ero al concerto di Zucchero al Circo Massimo. L’avevo sentito anni 36 anni prima al Mattatoio: da quella sera che avrebbe portato all’autunno e questa di inizio estate ci sono ormai 36 anni, in mezzo ai quali è passata la vita delle speranze, delle illusioni, delle riuscite, dei fallimenti e delle prese di coscienza.
E me lo ricordo bene quel 4 ottobre 1989, tra i recinti del Mattatoio in mezzo al fango, aveva piovuto poco prima del concerto e le tobacco Adidas erano solo un paio di scarpe da ginnastica e non ancora un cimelio scamosciato da tenere come una reliquia. Comunque non me lo perdo per un po’ d’acqua, e che sarà mai? “Oro incenso e birra” era uscito a giugno di quell’anno, lo conoscevo a memoria perché era la colonna sonora che mi aveva accompagnato mentre cominciavo a mettere a posto la mia casa da single con la vita davanti. Appollaiato su una scala in alto su fino al soffitto scendevo su quelle pareti e davo le mie mani del bianco che illuminava il mio futuro lasciandomi all’immaginazione di tutto quello che avrei potuto essere negli anni a venire. Non ero forse io a essere l’eroe della mia vita in quel momento? Che volete di più? Eccomi qui da solo sulla scala barcollante sotto i miei piedi mentre con un braccio sostengo quel barattolo pieno di tinta e con l’altro vado a tempo sul ritmo di quella meravigliosa indimenticabile scaletta: ecco che dal lettore cd portatile attaccato con un cavetto mini-jack a due casse grandi come una saponetta arriva il mare impetuoso al tramonto e quella ragazza che volevo vedere ballare e godere, al suono del sax di Clarence Clemons. Non sono proprio io dietro quella tendina di stelle? E il diavolo in me, non è proprio quello che mi sento addosso in questo momento, proprio adesso che sta squillando il mio telefono di casa, non è Diamante che mi chiede che facciamo stasera? Certo che ci vediamo, andiamo a farci una pizza e poi da me a vedere le stelle, insieme, tu e io! Ed eccole allora quelle canzoni che conosco a memoria, quelle note, finalmente dal vivo, uscire da diffusori immensi al volume pazzesco in mezzo a quel campo, in mezzo a tutti, a ridere, a gioire, a urlare a tutto il mondo di essere sul blocco di partenza con l’uranio arricchito nelle vene, il cielo che improvvisamente si squarcia, per far salire su in alto il nostro urlo di gioia propiziatrice. Il flusso entusiastico funziona tanto che soltanto al termine del concerto il cielo si richiude lasciandoci innaffiare da una pioggia finale che si riversa su di noi come una benedizione definitiva.
Eccomi oggi 23 giugno 2025 con questi pensieri al Circo Massimo, fammi portare una felpa che magari la sera con l’umido, non vorrei che poi piovesse. Ci sono tornato con Leopoldo che l’aveva sentito con me quella stessa sera di 36 anni fa. E con il drone della mia immaginazione ho provato a vederci dall’alto: c’erano due uomini ormai che seduti in platea, improvvisamente si sono alzati in piedi con le braccia al cielo a cercare qualcosa che forse era ancora nell’aria. Con la scusa di battere il tempo quelle mani provavano a riprendere quello che era scivolato via in silenzio. Finito il concerto la pioggia non è arrivata ma mentre riprendevo il motorino, almeno quello ancora sì, il motorino ancora sì, tornando in quella casa dove ancora abito, mi sono tolto la felpa e per un attimo immenso ero ancora al Mattatoio.
Ciao Sugar.