mercoledì 20 ottobre 2010

Per tigna


Cos’è la tigna? È quel sentimento per il quale (secondo una barzelletta degli anni 50 che circolava negli ambienti delle linee aeree in quella Roma in bianco e nero che vedeva esplodere i colori delle sue insegne solamente a Via Bissolati) il portabandiera di Napoleone, ferito in battaglia e persi tutti gli arti per portarla avanti a tutti i costi, prima di esalare l’ultimo respiro, ai suoi commilitoni che gli chiedevano annichiliti per cosa avesse mai fatto quell’impresa straordinaria, rispose, appunto “per tigna!”. È una molla di prim’ordine questa che ci fa muovere in direzioni senza la quale sarebbe impossibile: non esiste droga, alcool, fumo o che ne so che riescano quanto la tigna. Ed è per questo che mi è ricapitato tra le mani il mio vecchio stereo degli anni 80. Parliamo di un amplificatore Luxman L1 da 35 soli Watt per canale (in classe un compagno ne aveva uno da 60!), e di un piatto Technics SL-B2. So già che qualcuno storcerà il naso per questo ensemble (l’altro kit dell’epoca preferiva il piatto Thorens e l’amplificatore Marantz) ma proseguite e capirete: la tigna mi ha fatto quindi collegare delle inutilizzate e magnifiche casse ESB (non esistono più) con dei cavetti placcati in ORO. Tutto questo in un pomeriggio di scomodità inenarrabili, provate oggi a collegare i cavi delle casse sul retro di un amplificatore: il vostro ortopedico non ve lo perdonerà con le ernie che saltano come otturazioni da poco e i legamenti incrociati che chiedono pietà. Durante il montaggio sentirete dei cigolii e dei lamenti, vi guarederete in giro senza trovare nessuno, ma è il vostro corpo che geme come una caravella tra le onde dell’Atlantico! Una volta fatto tutto, sceglierete un disco (nel mio caso “The dark side of the moon”) e appoggerete con grazie la puntina sul disco, non avete sfiorato con questa gentilezza nemmeno le labbra del vostro primo bacio, e vi scaraventerete sul divano! Ma il volume è troppo alto. Non c’è il telecomando: non esisteva! Allora vi rialzerete per aggiustarlo, vai sul divano: troppo basso. Arialzati un’altra volta, adesso è giusto. E finalmente sentirete la musica come da anni non la sentivate più. E tra le mani un oggetto assurdo e meraviglioso: la copertina! 32 cm. per 32 cm., cioè 32 cm quadrati. Calpestabili! Ed era pure un doppio, quindi un’area di 2048 centimetri sotto le vostre mani rapaci. Bene. Vi ho raccontato tutto questo perché oggi che arrivano gli ebook, vorrei che fosse chiaro che NIENTE può sostituire il tatto, e meno male! E quindi la carta, queste pelle meravigliosa, non morirà mai e tutti gli iPad del mondo potranno dare una mano alle vendite agonizzanti dei libri e dei giornali, ma il piacere di sbattere le dita su una tastiera per scrivere o per sfogliare una pagina di un libro, come quello di sfilare un optical di Pucci da una schiena lunga un chilometro, non potranno restituirlo mai. E noi non dovremmo privarcene se non per un’emergenza. E comunque io non lo farò mai. Per tigna.

lunedì 18 ottobre 2010

Un colpo da manuale


Vorrei proprio sapere chi di noi non ha mai sognato di prendere parte un giorno a una rapina in banca. Non preoccupatevi: sto ovviamente parlando esclusivamente di quelle eleganti e piene di fascino che abbiamo visto sempre e solo al cinema, perché poi chi ce l’avrebbe mai il coraggio di farne una davvero? Figurati se ci mettiamo un passamontagna: mi metto paura da solo allo specchio per vedere come mi sta. Ma al cinema ci sono esempi illustri da sempre. Dal “Rapina a mano armata” di Stanley Kubrick, in una smagliante bianco e nero con quella valigetta piena di dollari che si apre all’aeroporto proprio quando ormai sembrava fatta, fino a “Il colpo” scritto e diretto David Mamet, con Gene Hackman che in una battuta rivelava una verità straordinaria, una regola di vita che tutti dovremmo avere sempre presente: “senza un piano B non mi allaccio nemmeno le scarpe!”. Oppure partendo da “Point Break” di Kathryn Bigelow con quell’assalto da parte dei banditi mascherati da Presidenti degli Stati Uniti d’America, per arrivare al top, “Colpo Grosso” con Frank Sinatra che ha poi ispirato, con tutto lo charme del caso, George Clooney e tutta la sua banda di guasconi del 2000, Brad Pitt e Matt Damon. Insomma, chi di noi non vorrebbe far parte di quella banda per poi “giocare” all’innamoramento con trabocchetto nella liaison con Julia Roberts? Chi di noi non vorrebbe chiamarsi per una notte soltanto, una notte “ultimate”, quella del colpo ovviamente, “Ocean”? Perché la rapina da sempre ha un fascino tutto suo: sei grande e grosso come un banca ma io che sono piccolo e furbo (e mi vesto pure bene) ti frego con la mia finissima intelligenza e me ne vado ai Caraibi con una gattina che mi ama!
È quindi evidente che almeno qualcuno di questi film è stato visto dai componenti della banda che a Milano nei giorni scorsi ha tentato un colpo alla Banca Intesa San Paolo di Via Binda, vestiti da donna con maschere di lattice, parrucche e occhialoni alla Jackie Kennedy. Ma come in film (uno diverso, un cartone animato) durante l’azione, a uno di loro squilla il cellulare. Chi sarà? “Buongiorno, sono un maresciallo qui fuori, che state a fa’?”. Fuori erano in 40 ad aspettarli. Ma i nostri non si sono persi d’animo, no: due hanno tentato di cambiarsi i costumi da donna con altri da uomo presi in prestito da una vecchia del palazzo, ma al portone una voce li ha bloccati: “seguiteci!”. Un altro è andato per tetti, niente da fare anche per lui! Uno aveva provato a tornare a casa prima di tutto. Fermato anch’esso con la valigia in mano. Ma non avevano pali? Certo. Arrestati! Prima di loro. Insomma in questo film stavolta ha vinto la polizia, o meglio il Commissario Basettoni! Essì, perché purtroppo siamo in un fumetto, non c’è niente da fare: alla fine mettila come ti pare, ma siamo sempre in Italia e quindi il film che si saranno visti la sera prima, invece di tutti quei titoli, sarà stato “I soliti ignoti”.

lunedì 11 ottobre 2010

Power of Love!


Questa foto l’avete già vista 25 anni fa! Dove eravate? Ve lo ricordo io: al cinema, con una ragazza che vi piaceva cui non riuscivate a prenderle la mano e con la scusa del popcorn ogni tanto vi accontentavate di sfiorarla. Il film era un capolavoro annunciato, “Ritorno al futuro” con Michael J. Fox, un attore con una carriera poi ballerina, diretto da Robert Zemeckis, un regista con una carriera poi fantastica e la colonna sonora era di “Huey Lewis and The News”, un gruppo carino, con una carriera poi disbanded. Vedemmo questa data per la prima volta nel 1985: sembrava tanto lontano, quel 6 luglio del 2010 raffigurato nel contachilometri di quella macchina del tempo, vero? E invece questo luglio appartiene già al passato! All'epoca pensavamo che nel 2010 finalmente saremmo diventati grandi, e invece eccoci qui ancora a giocare con questo blog. Chi ce lo avrebbe detto? Nessuno, perché noi del futuro non abbiamo un'idea precisa e soprattutto sbagliamo le previsioni, nel senso che siamo sempre in ritardo o certe volte spaventosamente in anticipo. Pensate solo al cinema: nel 1969 Stanley Kubrick ci presenta "2001: Odissea nello Spazio", con la trama di un computer che si ribella uccidendo l’equipaggio, ma quando mai? Per non parlare di “2010-l’anno del contatto”, a me non risulta! A questo punto era molto più onesto “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg, che nel 1980 raccontava in un “istant-movie” di come stavano incontrandosi umani ed extraterrestri in America, sotto la Torre del Diavolo (e a me sarebbe tanto piaciuto!). Andiamo avanti: un altro titolo del 1981, "appena" 29 anni fa, ipotizzava che nel 1997, tutta la città di Manhattan sarebbe diventata un grande carcere criminale, era per l’appunto "1997: Fuga da New York". È andata così? No! Allora avevano ragione i ragazzi di "Un mercoledi da leoni" quando già nel 1974 dicevano: "il futuro è già passato e non ce ne siamo neanche accorti...". Eh sì, perché la vera caratteristica del futuro è che comunque arriva. Grazie al futuro un brutto ricordo può scomparire improvvisamente, semplicemente per merito del tempo galantuomo. Ma d’estate, quando fa caldo, non vediamo l’ora che torni l’autunno, e non appena arriva non facciamo in tempo a goderci un salamino, due castagne e un bicchiere di rosso che già non ne possiamo più della pioggia. E ricominciamo a invocare la primavera, per colpa del tempo cafone! Quindi, tornando a quelle previsioni sbagliate del luglio di 25 anni fa, vorrei tanto sapere che fine ha fatto quella ragazza che era al cinema con voi. I casi sono due: o quella mano non siete riusciti a prendergliela e quando siete usciti non l’avete più vista e le vostre strade si sono separate per sempre, oppure quando l’avete presa per un piccolissimo e tremante istante, lei vi ha guardato in un modo tale da far passare il futuro in un lampo e adesso è accanto a voi mentre leggete questo pezzo: è la donna della vostra vita, ma allora ancora non lo sapevate. “Power of Love!”

venerdì 8 ottobre 2010

Never tattoo


Quest’ultima Miss Italia, che aveva due carte da parati tatuate addosso mi ha ricordato che il tatuaggio ha la stessa caratteristica di un diamante: è per sempre. Meno bello, meno costoso, ma per sempre. Ma come tutte le cose eterne ha il difetto di non avere a disposizione il comando “annulla digitazione”, come su Word. In questo caso, si volesse mai tornare indietro, tocca fare visita al dermatologo. Li avete mai sentiti i loro racconti?
- Tu non sai come vengono qua a studio... (a Roma non si dice mai “in studio” ma “a studio”)
- ... disperate! In lacrime mi chiedono di cancellare il tatuaggio che si sono fatte di ritorno da Sharm: “levame sto’ pesce Ghana dalla spalla che non ne posso più!”
Cosa porti una ragazza, che un giorno diventerà nonna pure lei, a tatuarsi sulla spalla sinistra un pesce africano, simbolo della fertilità marina, è un mistero che non mi affascina, mi repelle. Non fosse altro che per l’impossibilità di poter dire “nacqui, vissi, e mi contraddissi” se non all’uscita “da studio”: quando una bella crosta gigante, più grossa del tatuaggio, ricorderà per mesi i colpi di LASER per cancellarla, per non parlare dell’anno che deve trascorrere senza prenderci il sole sopra con tutti che ti chiederanno:
- Ma che hai fatto?
- Niente, avevo una scena di caccia alla volpe tatuata e l’ho tolta perché m’aveva stufato!
Lo sapevate che a Disneyland non ti assumono se hai tatuaggi a bordo?
“Perché ricordano troppo i galeotti!” sono riusciti a rispondermi all’ufficio del personale di EuroDisney a Parigi. Esagerati? Però oggi come oggi ti precludi la possibilità di essere assunto a fare Cenerentola o lo Sceriffo di Nottingham per via di uno stupido segno zodiacale tatuato sul polso sotto l’orologio. È vero infatti che una volta il tatuaggio era esclusivo appannaggio di chi, salpato alla ricerca dell’America, in caso di bonaccia chiedeva al marinaio amico “Ahò, scrivimi un po’ MAMMA sul braccio, così non mi scordo che ce ne ho una!”. Oppure s’era fatto una “vacanza” di qualche annetto alla Cayenne e “per ricordo” (ma quando te lo scordi?) s’era scritto il numero della cella. Magari per giocarselo al Superenalotto all’uscita. Non voglio nemmeno parlare di chi, non fidandosi dei propri sentimenti, si affida al tatuaggio come prova d’amore eterno e si stampa
la lettera iniziale del nome dell’amato. Fino a quando è una I, passi: dopo Ignazio, ti puoi sempre mettere con uno che si chiama Elio, modificando la I con una E facilmente. Ma quando ti metti con Bruno poi dopo come fai se ti metti con Franco? Forse un metodo per far capire quanto è inutile scrivere sul corpo qualcosa (fatta eccezione per quelli tipo “I LOVE YOU” con la bic a scuola) potrebbe essere quello di tatuarsi un codice a barre sul collo che una volta letto dalla pistola della cassa automatica dell’Ikea potrebbe far capire quanto vale un tatuaggio: niente! E poi, sentite, la vogliamo dire tutta? Farsi un tatuaggio, con tutti quegli arnesi e quel dolore, equivale a un intervento chirurgico. Non vi fa paura?

mercoledì 6 ottobre 2010

Punti metallici


Amici di questo blog, una notizia per tutti voi. Vi informo che in QUESTO PRECISO MOMENTO ho finito i punti della cucitrice che avevo sin dai tempi dei primi acquisti in cartoleria per l’asilo! Sono passati 40 anni e quei punti mi facevano compagnia, meglio, mi seguivano, diciamola tutta: mi perseguitavano. Perché erano nel cassetto della cancelleria da 40 anni! Che vuol dire tutto questo? Stiamo parlando di tre scatolette, ormai quasi poltiglia, che contenevano 1000 punti l’una. Più svariati avanzi del cassetto della scrivania di mio padre, saranno stati in tutto quasi 4000 punti. In 40 anni non di ufficio, ma di solo “home-office”, e cioè utilizzati per ricevute di conti correnti postali (multe soprattutto) spillate ai relative verbali, ricevute di condominio, chiusure isteriche di buste formato A4 e A5, per incartare i documenti da portare al commercialista, insomma piccole attività. E quelli stavano sempre lì dentro a ridere del tempo che passavano in vita, la loro, mentre scorreva la mia!
Ecco quindi che oggi, finalmente, mi accingerò a comprare un’altra confezione, un nuovo pacchetto di 1000 punti marca Zenith, una scatoletta blu, ART. 130/E, prodotta a Voghera, dove è nato Valentino, The Last Emperor. Ma il mio pensiero al momento dell’acquisto andrà a Vittorio Gassman, che nella commedia “Camper”, accanto al figlio Alessandro, orripilava al pensiero che un pelouche gigante a forma di panda gli sarebbe sopravvissuto. Non aveva torto: quanti anni passeranno adesso, prima di finirli un’altra volta? Altri 40? Spero proprio di no, non vorrei ricordarmi utilizzando l’ultimo, chissà quando, che oggi tanti anni prima ne stavo scrivendo come una notizia! Ecco perché forse nemmeno li compro, preferisco chiederne qualche decina a voi amici che li ruberete in ufficio... Per non avere un'altra pietra miliare nel cassetto.
Aspetto i vostri regali, vi prego: non siate generosi!

lunedì 4 ottobre 2010

Charlie Brown 60


Quelle quattro facce che riesco a mettermi addosso per dare un’espressione qualsiasi ai miei sentimenti le devo ancora oggi a un fumetto che in questi giorni compie 60 anni: Charlie Brown. Chissà se Schulz, (morto già da dieci anni!) sapeva di mettere insieme una galleria di maschere che nel tempo ho affibbiato alle persone che incontravo nella mia vita, senza capire che in realtà le facevo indossare solo a me. Quando uscirono le strisce, non capivo come mai qualche ragazzo più grande mi dicesse “Ahò, ma chi sei? Charlie Brown?”, quando provavo a far alzare in cielo gli aquiloni della “Quercetti” (ve li ricordate? Si compravano dal giornalaio). Non sapevo che si riferisse a quel “soggetto” cui, più tardi, non volevo assomigliare nei suoi patetici tentativi di approccio alla “ragazzina dai capelli rossi” ma che invece era esattamente la mia fotocopia in bianco e nero nei rovinosi tentativi di avvicinamento alle ragazze a scuola. Quando invece ho cominciato a leggere le strisce sul giornale preferivo immedesimarmi in quello Snoopy seduto sul tetto della sua cuccia con la macchina da scrivere e quel suo stupendo incipit “Era una notte buia e tempestosa”, anche se poi quel manoscritto veniva puntualmente rifiutato dalle case editrici con un disprezzo che all’epoca amavo e che oggi invece m’impaurisce. E Lucy? Voglio conoscere una persona al mondo che l’abbia amata. Tutti noi la odiavamo per come trattava chiunque, ed eravamo vendicati dal solo Schroeder (cui mi sentivo comunque molto vicino) che grazie all’amore per la musica classica aveva tutto quello che gli serviva per poter risolvere con un’alzata di spalle tutte le provocazioni di quella maleducata! Di quella Lucy che in fin dei conti ci ritroviamo oggi ad essere quando un’amica ferita nei sentimenti ci chiede una strategia per uscire dall’impasse o una consolazione per uscire dal baratro nel quale è sprofondata dopo una delusione d’amore: un “aiuto psichiatrico” per il quale veniva richiesto un obolo di soli 5 cents e oggi non bastano 5 ore di una cena lunghissima. La verità è che Schulz ha trovato le parole per dire tutto, a tutti, a tutte le età. Ai compleanni quanti biglietti d’auguri già belli pronti abbiamo trovato in cartoleria? E chi ha mai ha avuto il coraggio di buttarli ritrovandoli in un cassetto anni dopo con le firme di tutti i compagni di classe nei regali cumulativi? Io me lo ricordo quel regalo, un poster di Snoopy che, nei panni del Barone Rosso, chiedeva in un finto tedesco “TOFE IST DER PIRRERIA?”. Me lo regalò una ragazza cui avevo presentato un mio amico che sarebbe poi diventato suo marito. Lei trovò il modo di ringraziarmi di quell’incontro che avevo organizzato, in una birreria appunto, con le parole di Snoopy e semplicemente firmandolo mi fece capire che da quel momento sarebbe stata sempre meno presente nella mia vita come amica e sempre più presente in quella del mio amico come fidanzata. E solo adesso mi accorgo che la sensazione che provai nel ricevere quel dono allora, è la stessa che provo ancora oggi a ripensarci. Mi sento sempre come lui: Charlie Brown.